Il segreto per vendere viaggi è... non vendere viaggi?

Era un'impresa disperata. Ma ero sicuro di potercela fare.  

Dovevo assolutamente distogliere l'attenzione di mio figlio dalla lavastoviglie.  

Decisi di aiutarmi con uno dei centinaia di aggeggi rumorosi (altrimenti detti 'giocattoli per l'infanzia') che da un anno a questa parte si sono impossessati di casa nostra.

Insomma, in altri termini la questione era la seguente: dovevo convincere il cliente (il piccolo Edo) a preferire il mio prodotto (il giocattolo) rispetto a quello che lui aveva adocchiato e considerava l'oggetto del suo desiderio (la lavastoviglie).

Battere la lavastoviglie non è facile. Ha fascino, è piena di oggetti rilucenti, facilmente rompibili (piatti) o potenzialmente pericolosi (posate). E soprattutto è proibita, il che la rende dannatamente affascinante.

La soluzione, in realtà, poteva essere semplicissima: sollevare 10 chili di bambino e portarli via dalla cucina. Ma non volevo cedere alla forza bruta.

Così, mi ritrovai ad agitare un pupazzo rumoroso, proferendo frasi generiche del tipo 'Guarda com'è bello!'.

Era il grado zero della pubblicità. Quello di 'Bevi Coca-Cola', tanto per intendersi. Senza nulla togliere allo slogan che ha fatto la fortuna della nota bevanda, ero al Pleistocene del marketing. Ma non me ne accorgevo.

Me lo fece capire mia moglie che, nel tentativo di aiutarmi, provò a inserirsi in un dialogo rigorosamente tra uomini.

Ma volevo farcela da solo. Tra madre e figlio c'è una magia speciale, ma ancora una volta non volevo percorrere la strada più facile.

A quel punto mi ritornò in mente un articolo letto qualche giorno prima. Per carità, di guru del marketing ormai è pieno il mondo (penso che ci siano persone che sulla carta di identità, alla voce 'professione', hanno scritto 'guru del marketing'), ma la riflessione di David Shing, digital prophet del gigante a stelle e strisce Aol.com, mi ritornò utile.

Il marketing è morto, afferma Shing. Ora è il momento dello storytelling. Insomma, riprendendo ancora una volta le parole dell'articolo, è il momento di creare esperienze, non advertising.

Smisi di dire che il pupazzo era 'bello'. Mi misi a giocare con lui, poi coinvolsi mio figlio nel gioco.

Miracolo. Funzionò.

Dovevo crederci io per primo. Dovevo emozionarmi io per primo. Più che vendere un gioco (che tra l'altro trovavo estremamente fastidioso, con quella sua vocina gracchiante), dovevo cercare di condividere un'esperienza.

E l'esempio funzionava più delle parole.

Storytelling più che advertising.

La narrativa di viaggio è probabilmente vecchia quanto il viaggio stesso: il primo cavernicolo che fece un giro nella vallata a fianco alla sua, tornato alla grotta, verosimilmente non avrà potuto fare a meno di raccontare quello che aveva visto.

Narrare, più che vendere. O meglio, forse addirittura senza cercare di vendere (o almeno senza darlo troppo a vedere). La teoria di Shing sulla morte del marketing potrebbe avere le sue buone applicazioni anche dietro un bancone di agenzia? Potrebbe servire a distogliere il cliente dal fascino apparentemente imbattibile del viaggio self-made procacciato su internet?

Fatemi sapere. Io intanto vado a chiudere la lavastoviglie. Edoardo incombe...

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