Gli europei tornano nei Caraibi, ma non vanno in hotel

C’è l’Europa dietro al nuovo anno record dei Caraibi. A spiegarlo è Hugh Riley, il segretario generale della Caribbean Tourism Organization, presentando i dati del Caribbean Tourism Performance Report 2016. Dati che, a livello globale, parlano di 29,3 milioni di arrivi nella regione - il 4,2% in più rispetto all’anno precedente -, ma che rivelano qualche sorpresa sul fronte della ricettività alberghiera.

“Nonostante gli attacchi terroristici in alcuni Paesi, il referendum pro Brexit e i risultati economici deludenti in tutta l’Europa continentale - spiega Riley -, gli arrivi da questo mercato lo scorso anno sono aumentati dell’11,1%, raggiungendo la cifra da primato di 5,6 milioni. Una crescita omogenea, se pensiamo che ogni mese è stato a segno più, oscillando tra il 6 e il 16,8% di incremento rispetto al 2015”.

Particolarmente incoraggianti le performance della componente tedesca, aumentata nel 2016 dell’8,2%, e di quella britannica, a più 3,5%. Primo mercato resta, comunque, quello statunitense, con 14,6 milioni di arrivi e una progressione di 3,5 punti percentuali sull’anno precedente.

Il business non passa dagli hotel
A livello globale, lo scorso anno i Caraibi hanno accolto un milione di visitatori in più sul 2015 e anche la spesa dei turisti ha raggiunto un nuovo record, salendo del 3,5% rispetto al 2015 per un totale di 35,5 miliardi di dollari.

Una crescita su tutti i fronti, dunque, ma che non ha lambito il comparto alberghiero; i dati Str, infatti, mostrano un calo della tariffa media giornaliera (adr) a 201,50 dollari, mentre il revPar è diminuito di 2,6 punti percentuali a 134,48 dollari e il toc (tasso medio di occupazione) è a meno 1,6 punti, scendendo al 66,7%.
“Un risultato - commenta Riley - che riflette l’ascesa dalla sharing economy” alludendo agli esempi di Airbnb e HomeAway.

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