Trilogia Cina - Parte seconda/Il netturbino

Nelle grandi città mi piace camminare, allontanandomi il più possibile dalle zone turistiche per addentrarmi in quartieri dove si svolge la vita di tutti i giorni, scoprendo tradizioni e costumi tramandati nei secoli che, nonostante i ritmi frenetici di Paesi come la Cina, sopravvivono ancora. E spesso sono momenti simpatici per fermarsi e chiacchierare con la gente del luogo. Certo in Cina, per via della lingua, questo è difficile. Ma basta un sorriso per rompere il ghiaccio.

Qualche anno fa, tornando dai Giardini Yu - una delle zone più turistiche di Shanghai e quindi d'obbligo - e cercando di evitare le strade principali mi sono trovata a passare per vicoli dove la vita si svolgeva sui marciapiedi.
Case basse con le porte aperte lasciavano intravedere cortili con gabbie di uccelli e biancheria stesa, tanti i piccoli negozi di alimentari, i bambini che giocavano con le trottole, gli anziani seduti intorno al gioco del mahjong e c'era persino un tavolo di biliardo all'ombra di un albero.

Girando un angolo sono inciampata facendo volare la mia macchina fotografica, e prima di poterla raccogliere si è avvicinato un signore cinese con un cappellino in testa e una scopa sulla spalla. Dandomi una mano per alzarmi si è poi chinato per raccogliere i pezzi della macchina, e con grande cura ha rimesso a posto il cappuccio e il coperchio dell'obiettivo, il viso concentrato e inscrutabile.
Ringraziandolo ho messo la mano alla borsa. Ma, intuendo il mio gesto, con un leggero inchino della testa si è girato, attraversando la strada con grande dignità e compostezza, e ho capito che offrire una mancia sarebbe stata un'offesa a tanta galanteria.

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