Sacro e profano

È l'incrocio più famoso di Bangkok, quello tra la Ratchadamri Road, la Rama I Road e la Phloen Chit Road nel centralissimo distretto di Rachaprasong.

Un punto nevralgico per la mobilità metropolitana che racchiude in sè tutte le provocazioni e le contradizioni di questa pazza pazza città.

Perennemente nella morsa di autobus che rilasciano nell'aria quantità industriali di esalazioni nocive, di veicoli a quattro ruote che procedono con una lentezza esasperante e di una flottiglia di tuc-tuc che cercano in tutti i modi di insinuarsi tra le file interminabili di mezzi, mentre una massa compatta di pedoni attraversa l'incrocio tenendo d'occhio i secondi scanditi alla rovescia dal grande semaforo appeso sopra le loro teste.

Sorge, in mezzo a questo delirio, un angolo di forte spiritualità: il Santuario di Erawan, uno dei più venerati della città. Ubicato ad angolo dietro una ringhiera, è affollatissimo a tutte le ore: c'è chi si raccoglie in preghiera, chi accende l'incenso, chi pone mazzetti di calendule giallo oro, e chi gira con la testa bassa intorno alla piccola teca scintillante con dentro una piccola statua del Buddha rifulgente, sfavillante.
E tutt'intorno svettanti centri commerciali come Central World, Zen e Gayshorn, vetrine che ostentano brand di lusso da Prada a Vuitton ad Armani, e lussuosi santuari moderni che si chiamano Four Seasons, Grand Hyatt e St. Regis.

Questa è la Bangkok che mi affascina, una città di stravaganti contrasti e paradossi, una città che non delude mai.

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