I ladri in agenzia: una settimana di ordinaria follia

Essere svegliati nel cuore della notte dal telefono che squilla provoca un sussulto. Rispondi "pronto" sapendo che è successo qualcosa di serio e il cuore batte a mille all'ora.

Quando dall'altra parte della cornetta si presenta un commissario di polizia annunciandoti un tentativo di furto nel tuo ufficio ti viene quasi da sorridere perchè in quei pochi secondi trascorsi dal risveglio, la testa, pur intontita, ne ha pensate una più brutta dell'altra.

Al mio arrivo in agenzia ho constatato come la porta fosse stata letteralmente divelta e all'interno dell'ufficio ogni cassetto e ogni armadio era stato rovistato alla ricerca di non so cosa. Tuttavia i furfanti non si erano accorti di essere stati sentiti e visti durante l'effrazione alla porta e che ancor prima che fossero riusciti ad entrare fosse in arrivo una pattuglia della polizia che li avrebbe colti con le mani nel sacco.

Dopo aver raccolto la mia denuncia, gli agenti mi hanno messo a conoscenza del fatto che sarei stato convocato dal giudice la mattina stessa per il processo per direttissima: un sabato mattina con la porta divelta, gli uffici a soqquadro, i clienti desiderosi di prenotare il loro viaggio e il titolare assente.

Tuttavia se la mia presenza in tribunale fosse stata utile a spedire al fresco i due loschi individui lo sforzo avrebbe almeno avuto un senso; invece con un'abile mossa il loro avvocato ha fatto spostare il processo alla settimana successiva e al danno materiale subìto la notte precedente avevo appena aggiunto mezza giornata di chiusura forzata.

Ho chiesto di informare il giudice che mi sarebbe stato impossibile chiudere ulteriori giorni in un periodo così importante per la mia attività, ma la legge non ammette deroghe e la mia richiesta è rimasta vana.

Martedì, con disappunto, altre ore di lavoro perse poichè venivo chiamato in commissariato per firmare altri atti, tra i quali la nuova convocazione al processo, rifissato 2 giorni dopo alle 9,30 del mattino. Quella mattina, nell'attesa che il giudice celebrasse la condanna, ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con gli agenti che avevano effettuato l'arresto, i quali mi hanno informato del riuscito patteggiamento da parte dell'avvocato difensore e che entrambi sarebbero stati rimessi in libertà.

"Funziona così" mi ha spiegato l'agente, "ci facciamo in quattro per prenderli e poi vengono scarcerati".

Non capisco: parliamo di due ragazzi italiani di 20 e 30 anni. Supponiamo che io possa condividere la linea morbida per il più giovane che aveva qualche precedente di poco conto, ma non capisco come l'altro, con una fedina penale chilometrica possa essere rimesso in libertà con la condizionale.

Quale condizionale può esserci per un "cliente abituale" del tribunale? È curioso che gli onesti lavoratori vivano sotto un bombardamento di tasse e obblighi nei confronti dello stato (pena la scure di equitalia), mentre una sentenza come quella a cui ho assistito renda sostanzialmente lecito danneggiare e derubare il prossimo. È paradossale come, alla fine del processo, il più danneggiato fossi stato io: con 2 giorni di chiusura obbligata in piena stagione oltre ai danni materiali subìti sono quello che nel dialetto veneziano viene definito "becco e contento".

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