Da startup a impresaNuovo valore al turismo

Prospettive internazionali, concorrenza con le grandi Ota, incentivi non sempre adeguati. È una scalata al mercato irta di ostacoli quella che devono affrontare le startup del turismo per diventare davvero imprese. Sebbene rappresentino un tesoro per il futuro del settore turistico, l’ingresso a tutti gli effetti nell’empireo delle imprese non sembra essere così lineare.

Fa il punto il PoliMi, in un post pubblicato su Osservatori, che evidenzia i tre ostacoli da superare per le startup del travel. Sono 144 le startup del turismo individuate dal Politecnico di Milano e nate in Italia negli ultimi 3 anni: “il 37% si focalizza su servizi di prenotazione e biglietteria e ha una connotazione prettamente orientata al locale – scrivono Eleonora Lorenzini, osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e nelle Attività Culturali, e Filippo Renga, osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo -, con una specializzazione sull’offerta di tour guidati o altri servizi che coinvolgono esperti o cittadini del luogo, assecondando una tendenza a ricercare l’autenticità dell’esperienza”.

Una questione di apertura internazionale
Talvolta proprio questo si prospetta, come una difficoltà. “Tra le startup che hanno registrato i risultati migliori vi sono quelle con forte specializzazione su nicchie e target particolari, come turismo religioso, viaggi-evento per millennial, vacanze in barca a vela – prosegue l’analisi del PoliMi -. Questa può essere una strada da percorrere, ma è necessario puntare anche su internazionalizzazione e scalabilità”.

La competizione con i big player del web
Spesso, poi, la focalizzazione sull’offerta di servizi in loco attira l’attenzione dei grandi player del web: Google, Booking.com, airbnb non sono nuove all’interesse per questo tipo di ‘turismo esperienziale’ e “stanno lanciando app e soluzioni per offrire in un unico strumento i servizi di cui il turista ha bisogno e che rischiano di uccidere la micro-imprenditoria locale, che difficilmente potrà competere di fronte ai colossi”.

A caccia di partner industriali italiani
Terzo punto, ma non meno importante, i finanziamenti: anziché essere inglobati dalle grandi Ota, ci potrebbe essere “una proficua contaminazione con investitori industriali italiani, che possono sostenere, non solo con risorse economiche ma anche strategiche e organizzative, le idee innovative che hanno le gambe per competere”.

Anche perché, il sostegno pubblico purtroppo non sempre è sufficiente: “In certi casi si è rivelata non inutile, ma addirittura nociva – concude il PoliMI -: in questo settore, belle iniziative sono fallite o hanno rischiato di farlo per attori pubblici che sono venuti meno agli accordi stabiliti

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