Ritorno al 2015: così Etihad immaginava il futuro di Alitalia

Era una giornata piovosa di metà gennaio, quando nel 2015 la nuova Alitalia-Sai in versione Etihad convocava la stampa per la prima volta per svelare i propri piani di rilancio.

In un gremitissimo St. Regis nonostante il maltempo, anche TTG Italia aveva partecipato e seguito in diretta l’evento in pieno centro a Roma: in quella occasione i top manager della compagnia avevano lanciato messaggi di grandi aspettative, all’indomani del primo cda riunitosi con la partecipazione degli arabi di Abu Dhabi.

Il presidente Luca Cordero di Montezemolo dichiarava “Alitalia non deve più dipendere dalle banche”, mentre il vicepresidente James Hogan, anche ceo del Gruppo Etihad, ribadiva il concetto di esordio che “Alitalia sarà una compagnia sexy” e che “non vi avremmo mai investito se non fossimo certi dei risultati”.

Oggi, a ben vedere, sembrerebbe che i risultati non si siano concretizzati. I motivi possono essere molteplici, e spaziano dall’agguerrita competizione del low cost (a cui tra l’altro la stessa Alitalia ora starebbe pensando come panacea per i propri mali, nonostante le intenzioni iniziali di puntare solo all’alta gamma) alla necessità di rivedere la gestione dei costi sinora troppo elevati per le dimensioni e la redditività di un vettore come Az.

Fatto sta che nel 2015 l’obiettivo del ritorno al nero era fissato al 2017, con l’allora amministratore delegato Silvano Cassano che non faceva mistero del fatto che “la crisi è finita”.

A oggi il breakeven è stato spostato avanti di un altro quadriennio, e gli investimenti messi sinora sul piatto dagli emiri di Abu Dhabi, detentori del 49% delle quote di Az,  non sono stati sufficienti.

Le ore, intanto, corrono in fretta ed entro la giornata odierna qualche nodo dovrà essere necessariamente sciolto.

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