La strana storia
dell’adv che vuole
salvare Alitalia

di Francesco Zucco
23/06/2017
08:35
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Questa è la storia di un’agenzia di viaggi che non ha avuto il timore di entrare in gara con i grandi nomi del trasporto aereo. Perché ha una certezza: “Abbiamo il know how per far funzionare Alitalia”. Ad affermarlo è Dario Nicola Scuto (nella foto), managing director di Scuto Viaggi e Turismo. Che, dopo la pubblicazione del bando per la vendita della compagnia aerea, ha fatto arrivare sulla scrivania dei commissari non una, ma due buste.

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“La prima per la Scuto Viaggi, la seconda per la Scuto Tecnologia - prosegue -. Del resto, il bando consente di formare cordate anche in un secondo momento”. Se la proposta dovesse avanzare, ovviamente, i due piani andrebbero a convergere. “Abbiamo anche i partner finanziari per portare avanti il progetto”.

Al momento, Scuto precisa che “i commissari non ci hanno ancora fatto sapere nulla”. Ma, intanto, la sua azienda ha già conquistato il suo posto nella storia, come l’agenzia di viaggi che ha provato a salvare Alitalia.

Risanamento, non acquisto
Delle tre opzioni offerte dal bando, quella scelta dalla Scuto Viaggi è stata il piano di risanamento. Niente acquisto, dunque, né in blocco né con lo ‘spezzatino’. “Se avessi a disposizione 1 miliardo di euro non comprerei Alitalia - ammette il managing director -, dal momento che ne potrei creare 5 di compagnie”.

Ma quali sono le credenziali che l’agenzia può vantare per entrare in questa gara? “Emettiamo 80mila biglietti l’anno. Di questi 50mila sono Alitalia. Lavoriamo con i Gds e con tutte le principali aziende della filiera. Siamo tra le prime agenzie di viaggi Iata d’Italia. Conosciamo la distribuzione e, soprattutto, conosciamo il settore”.

Un piano per Alitalia
“Per Alitalia, la questione non è venderla. È farla funzionare. E per farlo bisogna capire qualcosa di trasporti, distribuzione e tecnologia”. Ed è per questo che Scuto Viaggi ha presentato il proprio progetto per rimettere in sesto la compagnia. Un piano che si basa su due punti fondamentali: “La tecnologia per aumentare i ricavi - elenca Scuto - e la riduzione dei costi, ma fino a un certo punto”.

Per il primo aspetto, l’idea è quella di seguire la strada già percorsa con successo da altri vettori. “È la questione dell’economia di scala - spiega l’agente di viaggi -: non esiste un’operazione da 1 milione di euro, ma 1 milione di operazioni da 1 euro”. In altre parole, è necessario massimizzare gli introiti per ogni passeggero. Ovvero, ricorrere alle ormai diffusissime ancillary revenue. “Non solo, ma anche un web più moderno e le app per smartphone”, prosegue Scuto.

Per il secondo capitolo, ovvero il taglio dei costi, l’agente tiene a precisare: “Se il mio core business è la pasticceria, non posso licenziare il pasticcere, altrimenti non ho più nulla da vendere. Allo stesso tempo, non si possono risanare i conti di Alitalia licenziando i piloti”.

Anche qui, l’idea non salta fuori dal nulla: “È qualcosa di simile al modello Cathay Pacific, che ha messo mano ai conti eliminando uffici obsoleti e inutili”. Anche se la questione del personale non è esente da osservazioni: “Magari bisogna gestirlo meglio, eliminare qualche benefit. Ma bisogna tenere presente che Alitalia ha un training center a Roma che è un’eccellenza internazionale. E di conseguenza lo sono anche i piloti della compagnia”.

Questione corto raggio
Dario Nicola Scuto non ci sta a considerare le rotte nazionali come la causa delle perdite di Alitalia. “Molte tratte interne sono gettonatissime. Magari alcune non sono redditizie, ma non si può dire che il corto raggio non è remunerativo”.

Il punto centrale della questione, per l’agente, è dunque “l’aspetto commerciale, che è ciò che è più mancato ad Alitalia”. Caso opposto, “quello di Ryanair, che ha costruito una fortuna proprio sul commercio. Si può anche criticarla, ma ha fatto scuola".

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