L'educazione sentimentale di Alitalia

Come sempre c’è andata giù pesante, la mia concittadina Luciana Littizzetto. Sulle nuove divise Alitalia, un paio di settimane fa, in tv, ha detto di tutto. Sulle calze, “verde bottiglione di vino”, di un “colore che ti prende la cornea e te la mastica”. Sui guanti, che sembrano “quelli che usi nell’orto per dare il verderame”. Sulle gonne, così strette che “tu cammini e ti sembra di avere le gambe dentro un paralume”. Sull’insieme della divisa, composta di “colori che ledono la dignità di Arlecchino”, e che “nessuna donna metterebbe mai (…). Neanche la sorella di Babbo Natale”.

La compagnia ha intelligentemente replicato scegliendo la soluzione dell’ironia, recapitando alla comica piemontese, la settimana successiva, i tanto sbeffeggiati indumenti. E cavalcando la medesima onda, la Lucianina è stata al gioco.

Al di là della specifica questione, va sicuramente apprezzata la rapidità di replica ultimamente dimostrata dal vettore, che a un Bobo Vieri stizzito per la mancanza di un AZ diretto Milano-Miami, ha prontamente fatto notare come ciò dipenda da questioni legate alla profittabilità e alla redditività, aggiungendo che avrà comunque piacere se il calciatore, nonostante il disguido, continuerà a scegliere il brand.

L’ultimo strale è scoccato in coda alla campagna Norwegian Airlines, che all’urlo di “Brad is single” ha promosso i propri voli su Los Angeles a un ipotetico pubblico femminile interessato alla ritrovata libertà dell’hollywoodiano Pitt. Tempestiva, Alitalia ha ribattuto su Facebook con il  post “Ragazzi tutti a Los Angeles! Le ragazze le porta Norwegian“. Risultato: 13mila like in una settimana.

Il vettore, insomma, fa di tutto per dimostrare di ‘esserci’, su ogni fronte comunicativo. Rapido. Ironico. Aperto a una garbata e civile conversazione. Una modalità, quest’ultima, purtroppo ormai desueta, ma che si auspica possa prima o poi contaminare i moltissimi praticanti dell’hate speech, pessima quanto preoccupante tendenza cui l’ultima edizione del Cluetrain Manifesto ha, non a caso, riservato un intero capitolo. Aggiungendo a monito comune un inquietante quesito dal sapore vagamente filosofico: “Perché abbiamo permesso che le conversazioni diventassero armi?”

Twitter @paolaviron

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