- 17/06/2014 12:22
Comunicazione d'impresa: Italia inferiore alla media europea
La comunicazione d’impresa vede sempre più riconosciuto il proprio ruolo di disciplina del management capace di contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali gestendo i rapporti con mercati e stakeholder. Può, però, fare di più rispondendo in maniera efficace alle nuove sfide come la misurazione dei risultati e la spinta alla digitalizzazione.
Questo il quadro rilevato dall’Osservatorio sulla comunicazione strategica condotto dall’Università IULM in collaborazione con la società internazionale di consulenza in relazioni pubbliche Ketchum coinvolgendo i direttori della comunicazione delle prime 300 aziende italiane per dimensioni (fonte: elenco Mediobanca, edizione 2012).
Il primo dato che emerge dalla survey, spiega Event Report, è che la comunicazione in Italia è sì è integrata nei processi strategici aziendali ma presenta ancora buoni margini di sviluppo. L’83 per cento delle grandi aziende, infatti, dispone di una Direzione Comunicazione ma la presenza del chief communication officer nel comitato direttivo è ancora inferiore, con il 42 per cento, alle medie europee che, invece, registrano ben il 76 per cento.
I responsabili della comunicazione italiani possono poi aumentare in maniera significativa anche il contributo nell’influenzare i piani strategici dell’azienda.
Se in Europa quasi l’80 per cento dichiara che i propri suggerimenti sono presi seriamente in considerazione dal vertice aziendale, in Italia la media scende al 60 per cento. Va però specificato che più l’azienda è innovativa, maggiore è il coinvolgimento del responsabile comunicazione nel prendere decisioni e la sua possibilità di interagire e collaborare con la direzione generale, la produzione e le risorse umane.
La comunicazione aziendale è in costante mutamento e questi sono i cambiamenti maggiori a cui dovrà rispondere nei prossimi 3 anni.
Secondo la survey la comunicazione della responsabilità sociale d’impresa, la comunicazione interna e quella ambientale saranno le 3 attività più importanti sostituendo sul podio attuale la corporate communication, il marketing pr e la comunicazione di crisi.
Proprio per supportare queste attività, oltre che per presentare nuovi prodotti, organizzare eventi e tenere le relazioni con la stampa, saranno sempre più utilizzati i social media e le aziende sono pronte a scommettere soprattutto su Twitter, seguito da Facebook e YouTube.
Sempre secondo la ricerca, il tema della misurazione dei risultati è sempre più sentito dalle aziende anche se oggi 9 imprese su 10 per farlo utilizzano ancora lo strumento del monitoraggio dei media e il 40 per cento degli intervistati valuta l’impatto della comunicazione attraverso la metodologia AVE Advertising Value Equivalence, valore che misura il costo dello spazio media e che appare ormai superato.
Il nuovo trend è, invece, quello reputazione aziendale. Oltre la metà delle imprese, infatti, sta investendo, e lo farà sempre più, su questo parametro di misurazione con azioni ben precise come conferma Andrea Cornelli, amministratore delegato di Ketchum Italia e presidente Assorel, Associazione Italiana Agenzie di Relazioni Pubbliche: “Questa esigenza è sentita al punto di aver deciso di avviare come Assorel un tavolo di lavoro misto agenzie/aziende per arrivare nel più breve tempo possibile alla definizione di un sistema di misurazione allineato alle linee guida internazionali e customizzabile poi alle esigenze di ogni singola organizzazione”.
Nel prossimo futuro rimarrà invariato il budget destinato dalle aziende alle agenzie di comunicazione e pr coinvolte nel fornire idee creative e originali, un punto di vista strategico e strumenti per il raggiungimento di target specifici. La metà delle aziende italiane, infatti, continuerà così a utilizzare per l’outsorcing il 20 per cento del budget dedicato alla comunicazione.
Inversione di tendenza a breve termine, invece, per gli investimenti in comunicazione. Lo scorso anno, infatti, a causa della crisi economica il budget destinato alle relazioni pubbliche era stato ridotto rispetto agli investimenti pubblicitari (74,8 per cento contro 71,7 per cento), ma le previsioni a 3 anni indicano un cambio di registro. Le imprese che prevedono stabilità o aumento per le relazioni pubbliche raggiungono il 63 per cento, mentre per la pubblicità si fermano al 59 per cento.