Reverse charge sì, ma solo quando è lecito. Federalberghi prosegue la sua battaglia contro quelli che definisce "furbetti dell’appartamentino". Questa volta chiamando in causa coloro che, mettendo a disposizione i propri locali sui siti che operano nel settore della sharing economy, eludono il pagamento dell’Iva applicando in maniera errata il sistema dell’inversione contabile.
Con una nota, l’associazione riporta la risposta dell’Agenzia delle Entrate a un’istanza della stessa Federalberghi, con la quale viene chiarito il meccanismo del pagamento dell’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda la sharing economy. Al centro del dibattito, dunque, i siti di prenotazione con sede in altri Paesi Ue che mettono a disposizione soluzioni di alloggio "in strutture ricettive non gestite in forma imprenditoriale e in immobili privati per brevi periodi", si legge nella nota dell’associazione.
Tutto inizia a maggio, quando Federalberghi solleva l’attenzione sulla reverse charge (ovvero quel sistema in cui l’assolvimento dell’Iva spetta al cliente e non al fornitore) in relazione alle commissioni pagate al portale. "Federalberghi - prosegue il comunicato - aveva segnalato che detti portali emettono fatture senza Iva italiana, applicando il meccanismo del cosiddetto ‘reverse charge’ anche nei casi in cui la struttura ricettiva è priva di partita Iva. La conseguenza è l’evasione totale dell’imposta, che non viene pagata né dal portale né dalla struttura”.
L’Agenzia delle Entrate ha risposto evidenziando che l’Iva sulle commissioni pagate ai portali che operano nei Paesi Ue è sempre dovuta. "Se la struttura ricettiva ha la partita Iva - si legge ancora nella nota Federalberghi -, essa si dovrà fare carico del versamento in regime di inversione contabile. Se la struttura non ha partita Iva, dovrà essere invece il portale ad identificarsi in Italia e ad emettere fattura con Iva italiana".