Aumentano gli hotel di categoria superiore, il numero di camere e le dimensioni medie degli esercizi: il settore dell'hotellerie in Italia naviga in acque molto favorevoli e segna il passaggio "da una fase artigianale a una industriale".
Parola di Giorgio Gribaudo, project manager di Horwath Htl, durante la presentazione della sesta edizione dello studio 'Hotels & Chains in Italy'. Riassumendo la mole di dati raccolti dalla società, il concetto di base è che l'industria alberghiera italiana si presenta sana, più corporate e con un business in pieno sviluppo.
"Negli ultimi tre anni ci sono state fusioni e dismissioni importanti nel settore, come gli ex hotel Boscolo, Valtur, Una Hotels e Atahotels o lo spin off di Eden Hotels ora diventato Lindbergh: quindi si riduce il numero degli albergatori, ma ciascuno di loro ha più camere".
I numeri
La fotografia dell'hotellerie italiana mostra una penetrazione delle catene alberghiere pari al 16%, che sale al 50% se si considerano solo i 5 stelle. Rispetto al 2013, oggi abbiamo 217 hotel di catena in più, una crescita del segmento lusso che l'anno scorso è stata dell'8% e quattro nuovi brand di catena straniera che nel 2018 hanno scelto di aprire per la prima volta nella Penisola.
L'anno che verrà
"Al momento in Italia ci sono 240 brand di hotellerie - commenta il manager -: entro il 2022 ci saranno 15.700 nuove camere in più già in progettazione e 120 nuovi hotel soprattutto a Roma, Milano e Venezia".
Se la proprietà al momento si conferma il business model più diffuso, il trend evidenzia un aumento dei contratti di leasing. Da segnalare l'avanzata degli investitori esteri: sei dei primi dieci gruppi alberghieri in Italia sono esteri e contano oltre il doppio delle camere dei primi cinque italiani. "Non è un elemento negativo, ma di opportunità, perché se un gruppo da lontano è riuscito a svilupparsi così significa che c'è molto spazio per la crescita".