Mangiare una pizza al taglio in piazza San Marco a Venezia ti espone a dure reprimende. Anche se sono le 2 di notte, è tutto chiuso e sei Stefano Accorsi.
Il popolare attore pochi giorni fa, dopo una festa del Festival del Cinema di Venezia, ha pubblicato una foto su Instagram che lo ritraeva in smoking mentre mangiava una fetta di pizza al taglio seduto al tavolino di un bar (chiuso) nella piazza più famosa del mondo. È bastato lo scatto per rendere Accorsi bersagli delle critiche dell’Associazione pubblici esercizi di Venezia: il direttore Ernesto Pancin ha sottolineato: “Se una persona di livello come Accorsi si mangia una pizza al taglio seduto su un tavolo di piazza San Marco, allora forse è un turismo senza speranza. Se la porti in camera la pizza; la piazza non è un giardino pubblico”.
La vicenda si è conclusa con Accorsi che specificava come alle 2 di notte la pizzeria al taglio fosse l’unico locale aperto: “Ora, capisco che il turismo selvaggio di chi butta rifiuti per terra, si fa il bagno nelle fontane a butta mozziconi ovunque vada contrastato, ma se alle 2 di notte l’unico posto aperto è una pizzeria e uno se la mangia sui tavolini di un locale pubblico chiuso, non mi sembra che sia mancanza di rispetto o di decoro”.
Le prime avvisaglie della battaglia
A lanciare la pietra è stato Flavio Briatore, non propriamente un arbiter elegantiae, che qualche settimana fa ha duramente criticato il cosiddetto ‘turismo delle ciabatte’. In un’intervista a Libero l’imprenditore ha duramente criticato il turismo low cost, sostenendo che il Paese deve investire di più sul target up level. “Il turismo della ciabatte non dà niente al territorio né basta a trasformare un Paese o una regione in una destinazione appetibile. Basterebbe pensare che il turismo di lusso lascia cose importanti sul territorio, porta soldi che fanno il bene di chi vive e lavora lì” ha detto.
Il tema del turista ‘straccione’ è stato ripreso infine dal Sole 24 Ore, che ha pubblicato addirittura una specie di libello contro i look troppo vacanzieri, fatti di pantaloni a pinocchietto e canottiere in ogni destinazione. “Preso singolarmente – scrive sul Sole lo scrittore Antonio Armano – il turista ‘ciabattone’ non sarebbe così dannoso, ma moltiplicato per mille diventa un abuso ambulante”.
Forse la situazione ci sta un po’ sfuggendo di mano
Il dibattito sul turismo low cost è aperto da tempo e si affianca inesorabilmente a quello dell’overtourism. Ma non sono la stessa cosa. E questo, forse, è bene ricordarlo.
Se è vero che mille turisti in ciabatte sono un triste spettacolo nel centro di una città d’arte, lo sono pure mille turisti molto ben vestiti bloccati nelle stesse calli che bloccano i ‘ciabattoni’. Se è vero che il decoro è importante per godere della visita alle città, e gli accampamenti di saccapelisti o gli improvvisati pic nic sulle scalinate delle chiese sono un’immagine negativa, è altrettanto vero che le città italiane, vuoi per carenze di spazi, vuoi per mancanza di strategia, offrono davvero poche aree vicine ai principali punti di attrazione dedicate a chi preferisce un panino alla sosta in ristorante.
Se è vero, infine, che l’industria del turismo preferisce il cliente che spende in ristoranti di alto livello, non va dimenticato che il medesimo cliente può scegliere di non passare un paio d’ore a mangiare, solo per il piacere di risparmiare tempo e vedere qualche cosa in più.
Forse, il problema è la massa, oltre che il livello del turista e la sua capacità di spesa.
Forse, il mondo del turismo dovrebbe semplicemente ricordare chi è e per chi lavora. Il concetto dell’ospitalità italiana, per cui il turista è prima di tutto ospite e non solo cliente, forse sta un po’ sfuggendo di mano.
E porta a bannare anche Accorsi in smoking, solo perché mangia una fetta di pizza al taglio in piazza San Marco.