L’Egitto punta sul suo straordinario patrimonio archeologico per cercare di far ripartire il turismo internazionale, ma anche i flussi domestici. L’obiettivo è di rendere maggiormente fruibili i musei già aperti e di avviare la ristrutturazione di quelli chiusi dal tempo dei primi disordini politici, dopo la rivoluzione del 2011.
“La priorità - spiega al Dailymail il ministro delle Antichità Khaled el-Enany - è data al restauro dei beni pubblici, abbandonati per mancanza di fondi in seguito alla drastica diminuzione delle entrate valutarie derivanti dal turismo. È vero, ci sono anche gli scavi archeologici che debbono andare avanti, ma per ora preferiamo concentrarci sui musei, in modo da poterli rendere fruibili il prima possibile”.
Focus sulla ristrutturazione dei musei danneggiati
Il riferimento è al Grande Museo Egiziano vicino alle piramidi di Giza, che dovrebbe essere aperto, almeno in parte, nel 2018. È invece di nuovo operativo il museo di Malawi, nella provincia meridionale di Minya, che era inagibile dopo il saccheggio da parte della folla durante i disordini seguiti alla caduta di Morsi.
“Abbiamo anche riaperto il museo di Kom Oshim a Fayoum - aggiunge il ministro - e il prossimo mese tornerà visitabile il museo delle arti islamiche, la cui facciata era stata distrutta durante un atto terroristico nel gennaio 2014”.
Per quanto riguarda i musei più famosi, invece, Enany ha spiegato di come stia facendo un lavoro immane per ottenere fondi: “Il Museo Egizio del Cairo, che ospita la maschera d’oro di Tutankhamon e le mummie dei faraoni, ora rimane aperto fino a notte tarda, per cercare di attirare più visitatori. Abbiamo anche istituito abbonamenti annuali per incoraggiare gli egiziani a visitare i nostri siti”.
Per altri progetti, invece, il ministero ha ottenuto fondi speciali: è il caso dei recenti interventi sulla sinagoga di Alessandra e la chiesa di Abu Mena, patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
Nel 2015 i ricavi dai biglietti d’ingresso ai siti storici sono scesi a 38 milioni di dollari, rispetto ai 220 milioni del 2010.
Stefania Galvan