In questo periodo dell’anno si completano gli ultimi bilanci relativi all’anno 2022 e conseguenti calcoli delle imposte sui redditi.
Spesso in questo blog vi ho evidenziato opportunità di risparmio o di ottimizzazione delle scelte fiscali, stavolta invece voglio portare alla vostra attenzione alcune prassi che, con spregiudicatezza, potrebbero anche portare a dei vantaggi fiscali ma che presentano un rovescio della medaglia cui prestare molta attenzione.
Cerco quindi di sintetizzarvi quali scelte bisogna ben ponderare prima di intraprenderle perchè attratti da un affascinante quanto a volte effimero risparmio fiscale:
- L’auto aziendale: la gestione fiscale delle auto aziendali rappresenta un tema certamente complesso e su cui il fisco è intervenuto più volte negli ultimi anni: fondamentalmente possono essere due le modalità per la deduzione del costo delle auto:
1) Intestazione alla persona fisica (dipendente, collaboratore o amministratore/dirigente di società) e relativa presentazione di una nota spese mensile per l’ottenimento del rimborso chilometrico secondo le tabelle Aci;
2) Intestazione all’impresa/società e messa a disposizione dell’amministratore/dirigente, dipendente o collaboratore.
I costi sono deducibili al 20% (entro un determinato valore massimo che nella maggior parte dei casi è di euro 18mila circa); l’IVA è detraibile al 40%. La percentuale di deducibilità si alza al 70% nel caso di auto concesse in uso ai dipendenti.
Intestare un’auto ad una persona fisica operante in azienda – a prescindere dal ruolo – è sicuramente più conveniente che intestare l’auto alla ditta/società. Tale conclusione non è vera in assoluto ma occorre valutare caso per caso.
- Vestiti ed abbigliamento: non ci si riferisce agli abiti da lavoro o all’abbigliamento anti-infortunistico ma alle camicie, gli abiti, alle scarpe, alle cravatte, ossia a quei capi che quotidianamente possono essere utilizzati tanto per il lavoro, quanto per la propria vita privata. In che misura beni di questo tipo, magari di particolare pregio o eleganza (e quindo costo significativo), possono ritenersi legittimamente deducibili dal reddito? Come si può dimostrare sia l’inerenza della spesa stessa, che la percentuale attribuibile alla sfera imprenditoriale? L’onere della prova ricade interamente a carico del contribuente e non appare assolutamente facile da dimostrare. In ogni caso può ricondurre tali spese nell’alveo dei “costi promiscui” la cui deducibilità è limitata al 50%. Tempo fa ha avuto notorietà il “caso Belen” dove in un contenzioso tributario la nota soubrette ha avuto ragione del fisco ma solo perché l’abbigliamento in questione era una spesa necessaria a rispettare un preciso obbligo contrattuale che la stessa aveva contratto con una azienda, e pertanto direttamente connesso con la produzione di ricavi. In tutti gli altri casi, invece, il rischio che il fisco disconosca completamente la deduciblità di questo costi è sicuramente molto alta.
- Altro tema classico: i costi di trasferta. Non ogni tipologia di spostamento dell’imprenditore può rientrare nella sfera imprenditoriale: per essere deducibili i rimborsi spesa devono essere riferibili a trasferte inerenti all’attività d’impresa, di competenza dell’esercizio, certi nell’esistenza e determinabili nell’ammontare. E così le “vacanze a spesa dell’azienda” diventano molto rischiose: queste voci infatti sono oggetto di attenzione molto accurata in caso di verifica fiscale ed è assolutamente necessario poter dimostrare (con prove incontrovertibili) che quella trasferta o quella vacanza è strettamente correlata con l’attività imprenditoriale, portandone benefici (sostanzialmente in termini di maggior fatturato che non si sarebbe verificato senza tale trasferta).
- L’acquisto di buoni benzina per la gestione di alcune “pratiche” non attinenti la sfera aziendale (nella maggior parte dei casi: l’acquisto di buoni benzina con il fine di omaggiare la clientela, oppure carburante per i mezzi aziendali, o infine benefit per i dipendenti): fino a che punto è possibile dedurre tali costi dal reddito d’impresa? Purtroppo analogamente come per gli altri casi, bisogna superare “l’ostacolo” del Testo Unico delle Imposte sui Redditi che fissa i requisiti della certezza e determinabilità della spesa e della inerenza: il buono benzina costituisce una spesa deducibile nell’ambito del reddito d’impresa (e nella misura fiscalmente prevista) se ed in quanto il suo uso sia in modo certo e documentato riferibile all’attività. In tutti gli altri casi (anche privati dell’imprenditore) la ripresa a tassazione, in caso di controllo, è pressochè certa.
- Le polizze assicurative: cioè l’assicurazione dell’imprenditore che, essendo il “centro” dell’attività economica della propria azienda, vuole tutelarla stipulando una assicurazione in caso di propria malattia/infortunio/morte, facendo pagare all’azienda tali polizze invece di pagarla con i propri risparmi: il contratto dunque vedrebbe la società come contraente, l’imprenditore come assicurato, e la famiglia dell’imprenditore come beneficiario. In tal modo, la società dedurrebbe il costo con relativo risparmio di imposte. Ma questo costo rischia di essere contestato nella sua deducibilità in quanto il beneficiario della polizza non è la società stessa, con la conseguenza che il costo della polizza diventa un “compenso in natura” erogato all’amministratore/imprenditore, che in quanto tale verrà assoggettato ad imposte e contributi previdenziali, esattamente come avviene per qualsiasi emolumento corrispostogli: in questo caso conviene piuttosto intestare la polizza direttamente all’imprenditore che potrà beneficiare della tradizionale detrazione nella sua dichiarazione dei redditi personale.
- Investire in immobili, intestandoli all’azienda (magari un immobile abitativo intestato all’agenzia viaggi e ipoteticamente utilizzato come “casa vacanze”) : purtroppo per tutti quegli immobili non strumentali all’attività imprenditoriale (e cioè non uffici o negozi, bensì appartamenti al mare o in montagna) sempre il Testo Unico delle Imposte sui Redditi prescrive che siano tassati come “reddito fondiario” (esattamente come quelli posseduti dalle persone fisiche) con la conseguenza che tutti i costi afferenti tali immobili sono nella maggior parte dei casi indeducibili.
- Le “rettifiche” al bilancio che aiutano a migliorare il risultato: spesso gli imprenditori sono tentati dal gestire a proprio piacimento ratei, risconti e rimanenze a bilancio poiché hanno influenza diretta e significativa sull’utile finale (ed anche sulle imposte su di esso calcolate!): spesso questa scelta è deleteria per 2 motivi: in primo luogo perché comunque i conti di questo bilancio si stanno chiudendo, ma si riaprono e si riportano all’inizio del nuovo esercizio con i medesimi valori, e ciò che è stato “tolto” in un anno dovrà essere aggiunto l’anno dopo, creando così un pesante fardello da sopportare ma soprattutto voci che di certo verranno esaminate a fondo nel caso di eventuali verifiche, in secondo luogo per il rischio di trovarsi coinvolti in guai di natura penale nel momento in cui tali voci sono servite per mascherare una perdita di bilancio a danno di creditori o finanziatori.
In definitiva non è tutto oro quello che luccica: il risparmio fiscale (a volte anche effimero) può presentare un conto (salato) quando 2 o 3 anni dopo l’Agenzia delle Entrate dispone verifiche fiscali su voci di spesa poco difendibili da parte dell’imprenditore.
Giulio Benedetti – Studio Benedetti Dottori Commercialisti – www.studiobenedetti.eu – www.travelfocus.it