Avrebbero potuto farlo. Ma non l’hanno fatto

Avrebbero potuto farlo, sì, avrebbero potuto tagliare corto e scrivere ovunque nelle più svariate lingue del mondo che la loro regione è “una terra di incomparabile bellezza e panorami mozzafiato”, formula preconfezionata ancora in ampio uso nello storytelling di settore e peraltro applicabile a buona parte delle terre emerse del pianeta.


Avrebbero potuto farlo – si diceva - ma non l’hanno fatto. E per catturare l’attenzione dei giovani viaggiatori stranieri innamorati del nostro Paese e desiderosi di conoscere la nostra lingua (che, com’è noto, soprattutto per le nuove generazioni di nordamericani e nordeuropei è diventata uno status symbol, evidenza di un livello culturale al di sopra della media), con un’intuizione sorprendentemente ancora tutta umana, l’Agenzia di Promozione Territoriale della Basilicata ha creato l’”Antologia Lucana”: 70 pagine di storie, letteratura, foto e informazioni pratiche corredate di esercitazioni linguistiche e proposte per ricerche di gruppo. Un progetto di narrazione fuori dal comune, sofisticato e ambizioso, che punta dritto al target: giovani stranieri di buon livello culturale, già iniziati alla nostra lingua, ragionevolmente mossi da un sincero desiderio di conoscere l’Italia. “Pensato per studenti – precisano – di livello intermedio-avanzato B2-C2”. Dunque un potenziale bacino di visitatori seriamente motivati, da gratificare con un prodotto di comunicazione anzitutto utile, creato ad hoc in collaborazione con Edilingua per affinare le competenze linguistiche e, parallelamente, accendere il desiderio di vivere in prima persona, sul posto, le storie oggetto di studio e di esercizio.

Anche la Regione Valle d’Aosta avrebbe potuto scrivere nella propria newsletter che il suo territorio “con l’arrivo della primavera è il luogo ideale per rilassanti passeggiate nel verde e nella natura”. Avrebbe potuto farlo, sì, anch’essa ricucendo parole e formule usurate. Ma non l’ha fatto, parlando invece di “tempo di riconciliazione con la natura”. E anziché vagheggiare di generiche “immersioni nel verde”, ha raccontato di alberi che “non si vedono (solo) con gli occhi” ma “si ‘sentono’ dagli odori che con la primavera cominciano a sprigionare, dall’irresistibile fonte di polline che costituiscono per il mondo degli insetti”. Allo stesso modo, anziché invitare a visitare il Pont-d’Ael ripercorrendone in maniera didascalica la storia bimillenaria, lo ha presentato come il luogo “dove la quantità e la varietà delle farfalle lascia ogni anno sbalorditi”, “un vero e proprio paradiso multicolore, da attraversare con ammirazione e rispetto, contemplandone la forza implacabile eppure fragile, da tutelare”.

Due racconti diversi per forma e tematiche, ma identici nella tensione all’empatia. Il primo punta a rafforzare una relazione umana basata su sensibilità culturali condivise, il secondo a costruire una relazione trasversale tra specie: umana, vegetale, animale. Concetti noti, ma che in generale nella comunicazione turistica faticano a trovare applicazioni narrative altrettanto efficaci e convincenti. Per rimediare tornerebbe utile ricordare quanto insegnava Paul Watzlawick: “la narrazione dei fatti non è un’operazione neutra: la comunicazione spesso letteralmente crea quella che noi chiamiamo realtà”. (1) aggiungendo il mai decaduto monito ciceroniano (2): “non esiste un unico stile per ogni argomento o destinatario, né per ogni oratore o situazione”.

NOTE

(1) Cit. “La manomissione delle parole”, Gianrico Carofiglio, Rizzoli

(2) Cit “L’Arte di Comunicare”, Cicerone, Oscar Mondadori

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