Non più fabbricatori di vacuo divertimento ma patrocinatori di cultura. Nell’epoca dei seguitissimi booktoker e dei giovanissimi influencer iperspecializzati in temi culturali – cito per tutti Edoardo Prati e Roberto Celestri, ormai notissimi anche fuori dal web - è in questa veste che amano vedersi i giovani pronti a entrare nel settore turistico. Dalle aule degli istituti superiori alle scuole alberghiere fino ai dipartimenti universitari, l’idea piace. E accende gli sguardi. Lo dico per esperienza diretta.
Ma potrà tutto questo essere utile al comparto? Sicuramente sì, visto che il turismo culturale è quello che, dati statistici alla mano, muove nel mondo milioni di viaggiatori e genera solo in Italia grosso modo 142 milioni di presenze (dati Istat). A seconda dei Paesi e in posizione variabile, il segmento guadagna comunque sempre il podio delle macro-attrattive che attirano i visitatori. E sempre più spesso “il culturale” va in abbinata al turismo nella natura (Cammini della fede con tappe in monasteri, chiese, luoghi dell’arte in generale; musei e siti archeologici a cielo aperto; in Italia le antiche Vie tracciate da Etruschi e Romani, e via elencando) ma – e questa è la notizia - è possibile che molto presto possa evolvere (anche) in una nuova soluzione di vacanza-benessere.
Un recentissimo studio ASBA (Anxiety, Stress, Brain-Friendly Museum Approach) presentato al MAO (Museo d’Arte Orientale) di Torino ha fornito infatti evidenze scientifiche di come musei e luoghi d’arte possano agire sul cervello umano arginando le tensioni. “Gli spazi museali – rimarcano i curatori dello studio - offrono grandi benefici ai visitatori. Questo perché la loro frequentazione permette di ridurre l’isolamento sociale e aumentare il livello di autostima, alleviando ansia e stress”. All’interno del MAO, grazie alla partecipazione del personale, sono state sperimentate diverse metodologie per la misurazione dei suddetti benefici - tra le quali mindfulness, arte terapia, chair yoga e nature+art – con l’obiettivo di aiutare le persone ad osservare gli oggetti d’arte con occhi nuovi, stimolando in esse meraviglia ed emozioni positive.
Promuovere il turismo culturale come opzione di soggiorno-benessere e non come mero atto di consumo del bene può dunque essere una nuova soluzione operativa e narrativa gradita ai giovani professionisti in ingresso nel comparto, ai viaggiatori nonché, si suppone, agli operatori culturali. Tutto ciò per provare finalmente a creare una fattiva connessione fra due mondi che fino ad oggi si sono parlati poco, spesso con reciproco sospetto e probabilmente con reciproco svantaggio.
N.B.: Per eventuali sospettosi che volessero interpretare questo pezzo come l’ennesima lezione su “quello che vorrebbero i giovani” da parte di una persona che giovane non è più, mi appello a quanto detto da Prati, 20 anni appena compiuti, rispetto all’inclinazione per la cultura delle nuove generazioni: “la tendenza è pensare ‘che strano’ perché le aspettative a volte sono basse e invece, in realtà, ci sono tantissime persone che sentono questa esigenza”. Curate ut valeatis.