Quando la distanza tra il leader e il follower si misura nell’ordine delle centinaia di milioni di fatturato, e quando il mercato è limitato a non più di dieci player, siamo in un oligopolio. Questa è la situazione del tour operating italiano: Alpitour (“Alpitutto”, ormai, con un pregnante neologismo) domina la classifica dall’alto dei quasi due miliardi di turn-over e dei dodici (!) marchi controllati. “Eden resterà indipendente” racconta il direttore tour operating Pier Ezhaya al direttore di questa testata, lancia segnali di pace al mondo delle agenzie di viaggi, per le quali “avremo più cura” e si dice pronto a cambiare approccio e rivedere modi e toni. Toni, appunto, da chi conta su numeri tali da pensare che, come una volta la Fiat, “quello che fa bene ad Alpitour fa bene al mercato”.
Chi sono i follower? Croceristi e Olta a parte, che giocano su altri tavoli, ne identifico tre. Uvet, come gruppo ormai integrato verticalmente: al core business originale, quello del corporate travel, il presidente Luca Patanè ha affiancato gradualmente il leisure, oggi affidato a Ezio Birondi per la divisione tour operating (Settemari e l’appena nata Jump) e ad Andrea Gilardi per la rete, mentre Blue Panorama ha appena compiuto un anno sotto la nuova gestione. Rispetto ad Alpitour, Uvet deve colmare gap di esperienza industriale (Neos è stata fondata nel 2001) e manageriale (Gilardi è appena arrivato, Birondi ha preso in mano Settemari nel 2017). Dalla sua, Uvet ha una gestione molto dinamica e un unico azionista.
Veratour, come villaggista: saldamente in mano alla famiglia Pompili, forte di una leadership ormai consolidata, di bilanci invidiabili e di 220 milioni di fatturato, grazie - anche - alla ripresa dell’Egitto. Fatturato che però deriva in larghissima parte dalla villaggistica, essendo il tour operating tradizionale (pensare che Veratour nacque come estensione di Viajes Ecuador) in posizione ancillare. I suoi competitor sono tutti in crescita (TH Resort, Nicolaus e Valtur, Bluserena, Ota Viaggi e Club Esse, Futura Vacanze), ma hanno dimensioni più modeste.
Quality Group, come t.o. made-to-measure, che sfonda il tetto dei 145 milioni di turn-over 2018 e si fonda su un modello di business difficilmente replicabile, che garantisce ottimi margini e grande affezione del trade. Il t.o. torinese lavora con la linea e non controlla strutture, quindi si colloca nell’area del “pacchettizzato”. I suoi competitor sono molto più piccoli (il Gruppo Oltremare, Viaggi del Delfino, Kel 12) e non hanno la diffusione geografica sul trade di Quality.
Alpitour, ovviamente, è competitor di tutti: sulla rete con Welcome Travel e Geo, sui villaggi con Bravo Club ed Eden Village, sulla linea con Viaggidea e Hotelplan (e mi fermo qui).
Conclusione? A mio modesto parere, c’è spazio per altri player, perché le agenzie di viaggi - soprattutto quelle legate alle reti non citate - vogliono prodotto nuovo, indipendente e possibilmente più conveniente. Chi potrebbero essere? I francesi di Kappa Viaggi, appena sbarcati? Gli iberici di Barcelò, desiderosi di rivincita dopo la débâcle Eden? I tedeschi di Tui, che hanno appena rivoluzionato Viaggi del Turchese? Qualche italiano, anche tra quelli citati, che vuol fare il salto e giocare al di fuori della sua “comfort zone”, magari contando su capitali freschi?
A mio modesto parere, questo è l’anno delle opportunità. Bravo chi le coglie.