“Ho chiesto agli studenti del master di turismo in Iulm di cosa vogliono occuparsi” mi racconta Gabriele Rispoli, direttore commerciale Amadeus. “Eventi e hôtellerie di alta gamma, mi hanno detto, nient’altro”. Mettiamoci il cuore in pace, quindi, noi agenti di viaggi e tour operator: la Generazione Z vuole occuparsi di lusso e di eventi, punto.
Una volta c’era il MICE Meetings, Incentives, Conferences and Exhibitions, ovvero “riunioni, viaggi incentive, conferenze ed esposizioni”: sugli incentive tour le agenzie di viaggi ci hanno campato per anni, partecipandovi (invitate da t.o., compagnie aeree e destinazioni) e organizzandoli (per le aziende clienti). Oggi gli incentive sono in declino e al loro posto stanno letteralmente esplodendo gli eventi, che hanno reso obsoleto il MICE. Chi l’ha detto? Un’autorità del settore, ovvero Franco Gattinoni, che non a caso ha appena riorganizzato l’azienda in tre divisioni, una delle quali si chiama “Events” (il MICE non c’è più) con tanto di managing director, director of operations e novanta (90) persone dedicate.
Ecco cosa ho capito sugli eventi, quando ho chiesto lumi al team Gattinoni e a Francesco De Salvo che in L’Oréal - azienda leader mondiale nel settore bellezza & cosmetici - si occupa di fare le gare per scegliere le agenzie di comunicazione:
1. Gli incentive tour stanno passando di moda - È un fenomeno successivo alla pandemia, quando viaggiare - soprattutto in certe destinazioni - era difficile, se non impossibile. Portare un battaglione di parrucchiere a Bali, per dire, era - ed è - diventato complicato. In più i costi (compagnie aeree, servizi in loco) sono sensibilmente aumentati. Infine - vogliamo dirla tutta? - i mitici “viaggi premio” han stancato: in Mar Rosso, in Kenya o a New York, più o meno ci siamo stati tutti, e alla fine la trafila è sempre quella: pullman in gruppo / cena di gala con discorsi celebrativi / selfie a raffica e sui social tanti “Come siamo stati bene! Che bella azienda che ci ha invitato!”. Il tutto costa pure un botto di soldi. Insomma, anche no.
2. Tutti vogliamo essere protagonisti e avere l’esclusiva - I social (FB per noi boomer, Instagram e TikTok per i giovani) hanno permesso a tutti di “essere famosi per 15 minuti” (Andy Wharol, 1968), quindi perché intrupparsi in pullman e finire in un anonimo selfie in mezzo alla massa? Gli eventi permettono di far sentire ognuno protagonista (”Vuoi provare la Ferrari dell’ultimo 007? Ti portiamo sul Como Lake e te la facciamo guidare!”) e di accedere a luoghi interdetti ad altri. “Per l’evento Fineco Bank a Napoli” racconta Franco Gattinoni “Abbiamo avuto il permesso di accedere ad aree mai concesse ad altri prima di noi, dalla proprietà pubblica. Gli ospiti del committente hanno goduto di una première assoluta”. Uno vale uno, ma in un altro senso.
3. Wow effect e ospiti VIP costano troppo e non rendono - Fuochi d’artificio che illuminano a giorno il sea-front di Hurghada. Mahmood e Giorgia in duetto al teatro del mega-resort ai Caraibi. La Ferragni che prende 300.000 euro per presenziare a una sfilata di moda (questo non è un evento, ma rende l’idea sulle cifre che giravano, prima dell’affaire Balocco...). Tutto troppo costoso e - alla fine - come si misura il ritorno? Oggi si vola più basso (la sostenibilità sta entrando anche negli eventi, vedrete...) e gli ospiti devono essere coerenti con l’evento e gli obiettivi del committente: quindi i Momix per l’evento di una banca all’Opera di Roma, Stefano Massini per la celebrazione di Pirandello al Teatro Greco di Taormina, Alessandro Barbero o Edoardo Prati (se non sai chi è Prati, sei un boomer...) per celebrare i 100 anni di storia di una casa editrice. Coerenza e understatement, le nuove parole chiave.
Conclusione: fate l’amore (ovvero gli eventi), non fate la guerra (ovvero il MICE).