Premesso che in Italia otto imprese su dieci sono a conduzione familiare (nel turismo anche di più, tra hotel, trasporti, tour operator, agenzie...) ecco cosa succede “dopo”: solo il 30% delle aziende familiari sopravvive con la seconda generazione, il 12% con la terza e un residuale 3% arriva alla quarta. Il passaggio generazionale, quindi, è un momento decisivo per le sorti di un’impresa, visto che ne causa la cessione o la sparizione in 3 casi su 4. Molto peggio delle crisi economiche, finanziarie o climatiche. Del tema mi sono già occupato qualche anno fa, evidenziando come la causa più frequente di fallimento del passaggio generazionale sia quando i figli, cioè gli eredi, non sono all’altezza del genitore, cioè del fondatore. Succede, purtroppo, spesso.
Ribaltiamo in positivo la questione e vediamo come un’impresa possa far parte di quegli “happy few” che sopravvivono. Partiamo da una semplice tabella, che elenca (parzialmente, lo so) tour operator e network italiani - a conduzione e proprietà rigorosamente familiare – di prima, seconda e addirittura terza generazione. Aziende arrivate ai nipoti ne conosco solo due: Frigerio Viaggi di Giussano, fondata nel 1974, e Carrani Tours di Roma, che quest’anno celebra addirittura il centenario dalla fondazione. La proprietà è sempre quella della famiglia fondatrice: rispettivamente Frigerio in Brianza e De Angelis/Delfini a Roma.
Dieci sono le imprese di seconda generazione, tutte note agli addetti ai lavori: dalla Mistral T.O. di Torino (fondatore Stefano Chiaraviglio, a.d. il genero Michele Serra) alla Veratour di Roma (creatura di Carlo Pompili, oggi gestita dai figli Stefano e Daniele); da Futura Vacanze di Roma (co-fondata dal “professore” Mario Brunetti e dal figlio Stefano, oggi da questi diretta) alla UVET di Milano (fondata da Francesco Patanè, condotta dal figlio Luca, con i suoi figli già in azienda). In quasi tutti i casi la seconda generazione ha fatto meglio della prima (OTA Viaggi e Viaggi dell’Elefante, per dire), ma il solo fatto di aver passato con successo il testimone agli eredi è motivo di plauso.
Ho elencato anche dieci imprese di prima generazione, tra quelle che hanno già trent’anni di storia (Idee per Viaggiare, Glamour, Gattinoni, Mappamondo) a quelle appena nate (WeRoad, Creo). Per queste ultime il problema non si pone, ma per le altre sì, eccome. Eppure due sole di esse hanno già inserito i figli in azienda: Idee per Viaggiare e TH Resorts. Vediamo di dare qualche buon suggerimento alle altre:
1. Se i figli non ne vogliono sapere, dell’impresa familiare, meglio non insistere - Ci sono settori dove si guadagna (molto) di più e non si lavora sabato, domenica e feste comandate. Se l’erede vuol fare il commercialista o l’imprenditore digitale, meglio non contraddirlo. La passione per il turismo, però, può anche spuntare successivamente: Enrico Ducrot era un archeologo, Andrea Nike Curzi (figlio del founder Danilo) laureato in Storia.
2. Portare i figli in azienda, quando sono giovani, e vedere se gli piace - “Ho chiesto ai miei figli se volevano andare all’Università, mi hanno detto di no, e io gli ho risposto ‘Ah sì?! Allora domattina in azienda!”: lo racconta così, Carlo Pompili, l’inserimento degli eredi in Viajes Ecuador (l’antesignana di Veratour). Idem per Domenico e Mario Aprea, avviati nell’albergo di famiglia dal padre Stefano. Il vantaggio del nostro settore è che ha tanti comparti, ci si può occupare di commerciale o di prodotto, di design o di tecnologia, di bilanci o di personale. Però senza passione non si va da nessuna parte.
3. Un manager esterno può aiutare, se ha deleghe e fiducia - Il passaggio da attività familiar-artigianale a impresa managerial-industriale è molto difficile, nel nostro settore ancor di più. Dei primi dieci tour operator italiani, l’unico che ci è riuscito - ma grazie ai capitali della finanza - è Alpitour. TH Resorts è un unicum, perché la coesistenza tra azionariato privato, grazie al fondatore Graziano Debellini, e pubblico, grazie all’azionista Cdp, ha dato spazio a top manager di valore come Giorgio Palmucci ieri e Alberto Peroglio Longhin oggi. Un manager esterno può essere un valore aggiunto, ma solo se collocato ai vertici dell’azienda e con deleghe adeguate: Sergio Testi in Gattinoni, in passato, e Nicola Bonacchi in Glamour, oggi, ne sono testimonianza. Però accade meno frequentemente di quando dovrebbe.
4. Cedere l’impresa ai propri dipendenti è un’opzione - Si chiama “management buyout” e consiste nell’acquisizione dell’azienda da parte dei manager/dipendenti interni, che quindi assumono il ruolo di imprenditori e proseguono l’attività dell’impresa per la quale han lavorato, magari per molti anni. Operazione molto comune all’estero, poco applicata in Italia (soltanto in contesti industriali), praticamente sconosciuta nel turismo. L’unico esempio che mi risulta è quello di Viaggi del Mappamondo di Roma, grazie all’attuale presidente Andrea Mele che, entrato nel 1984 al booking dell’agenzia Ital Atlantic Express, dove Mappamondo era un marchio che identificava il ramo tour operating, avrebbe poi creato la relativa società nel 1988 e quindi nel 2001 acquisito il ramo d’azienda, insieme al socio Marco Cifani. Può essere l’unica soluzione per non cedere l’attività a terzi e - soprattutto - garantire un futuro ai dipendenti fedeli per tanti anni.
Grazie per avermi letto fin qui, mi scuso per le inevitabili omissioni.