La pandemia ha danneggiato più l’imprenditoria turistica femminile che maschile. Sono inequivocabili le cifre presentate da Isnart, l’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche, durante il convegno “L’ospitalità è donna” organizzato al TTG Travel Experience di Rimini.
Se il 2021 passerà agli annali come ulteriore anno critico per il settore ricettivo, con il 15% di imprese rimaste chiuse e il 40% con bilanci in perdita, nell’ultimo decennio le crisi di mercato mostrano comunque di incidere sempre e maggiormente sull’attività delle donne. “Alla base di questa curva negativa vanno riconosciute una maggior difficoltà d’accesso al credito e il peso fatto ricadere quasi esclusivamente dalla famiglia sulle imprenditrici - spiega Flavia Coccia, coordinatrice area ricerca Isnart (al centro nella foto) -, che appaiono fra l’altro più esposte perché a capo di progetti solitamente individuali. Nei grandi gruppi turistici, infatti, il ruolo di dirigente è occupato da donne solo nel 19% dei casi, mentre sono più numerose nelle professioni non qualificate (25%), risultando in ogni caso minoritarie su scala complessiva (17.4%)”.
Segnali incoraggianti
Alcuni segnali sono, però, incoraggianti: le imprese di capitale femminile stanno crescendo rispetto a quelle individuali, ma sono in numero maggiore anche nel settore giovanile rispetto a quelle maschili. Il Sud Italia appare inoltre molto dinamico, sebbene le imprese turistiche femminili più affermate si trovino in Val d’Aosta, Trentino e Friuli Venezia Giulia, con forte propensione ad investire nel settore enologico.
L’obiettivo, per Karin Venneri de “La carica delle 101”, resta però un maggior equilibrio nella formazione di startup miste uomo-donna (appena il 25% in Europa), perché più competitive sul mercato.