La bugia dell'articolo 18

In questi giorni il dibattito politico è totalmente incentrato sul così detto "Jobs act" ovvero tutta quella serie di riforme che dovrebbero far ripartire il mondo del lavoro.
Pare che, ancora una volta, tutto giri intorno all'ormai famigerato articolo 18.

In poche parole, secondo i luminari che ci governano, il più grande problema delle aziende italiane è quello di non poter licenziare (loro la chiamano scarsa flessibilità).
Invece il problema ben noto è quello dell'eccessivo costo fiscale del dipendente, soprattutto perché il nostro non è più il Paese della grande industria, ma quello delle piccole imprese, che non possono farsi schiacciare dal peso di una tassazione sul lavoro che non ha nessun senso logico.

Per risollevare il mondo del lavoro la ricetta sarebbe tanto semplice da apparire quasi banale: ridurre almeno del 50 per cento la pressione fiscale sul dipendente così che le aziende possano nuovamente permettersi di assumere senza ricorrere ad espedienti come contratti a tempo determinato, stage, voucher o tutte quelle forme di sfruttamento che hanno trasformato il lavoro (quello vero) in un miraggio.

Al contrario, riducendo verticalmente la tassazione, si innescherebbe un meccanismo virtuoso: la gente, tornando a lavorare, acquisterebbe ottimismo. Ottimismo che unitamente alla nuova disponibilità economica metterebbe le persone nelle condizioni di tornare a fare acquisti, rimettendo in moto l'economia e consentendo così all'erario di recuperare sotto altre forme (e abbondantemente) il gettito perso nella riduzione della tassazione sul lavoratore. Il tutto senza dimenticare il risparmio che in questo modo lo stato avrebbe rispetto all'attuale situazione, in cui migliaia di persone vivono di costosi ammortizzatori sociali.

Io ho una piccola agenzia di viaggi che ha la fortuna di essere un'azienda sana, che se potesse assumerebbe subito. Purtroppo questo non è possibile e posso garantirvi che il problema non è l'articolo 18, ma il drastico impatto che un dipendente avrebbe sul conto economico.

Esistono delle soluzioni sostenibili (a tempo determinato) ma il rischio è quello di formare una risorsa per poi non poterla tenere, una volta terminato il periodo franco.
Si tratta di un meccanismo perverso in cui le aziende non riescono a mantenere il dipendente che formano e il lavoratore non può permettersi nessuna pianificazione della propria vita, nemmeno a medio termine, a causa di un sistema che oggi è già ben peggiore di qualsiasi modifica all'articolo 18, il cui valore in una situazione del genere è già nullo.

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