Il commento del direttore
Remo Vangelista
Non ama usare giri di parole James Hogan (nella foto), vicepresidente di Alitalia e numero uno del Gruppo Etihad. E nel raccontare punti di forza e di debolezza della compagnia di cui Abu Dhabi ora detiene il 49 per cento, non ha peli sulla lingua. In una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, il top manager ripercorre le tappe che hanno portato all’operazione Alitalia e lo stato dell’arte del rilancio del vettore. “La nostra strategia è far crescere l’azienda, ma se non ci sono interlocutori responsabili diventa molto difficile” dice al quotidiano Hogan.
La bacchettata è dedicata al Governo da una parte, a cui il top manager di Etihad rimprovera di non aver rispettato alcune condizioni prestabilite al momento del salvataggio di Alitalia, e ai sindacati dall’altra.
Anche perché a livello strategico, Alitalia sinora ha messo in piedi concrete operazioni che vanno dal potenziamento del network lungo raggio all’aumento del livello di servizio, oltre che una corposa manovra per ridefinire l’immagine del vettore. E la percezione sul mercato sembra di fatto essere migliorata.
Linate e fondo del turismo: i nodi da sciogliere
Uno dei nodi del contendere con le istituzioni è la scarsa valorizzazione dell’aeroporto di Milano Linate: “Tra le questioni chiave c'era il poter usare Linate e costruire una base molto più forte – dice Hogan -, in modo da poter volare anche al di là dell’Europa”. Condizione che però non sembra esser stata soddisfatta, almeno sinora.
A questo si affianca anche il mancato rafforzamento del turismo in Italia e il trattamento riservato ad Alitalia rispetto ai competitor low cost: “In gran parte dei mercati le grandi compagnie nazionali sono in qualche modo tutelate, mentre a Fiumicino ci sono sei compagnie low cost – attacca Hogan -. Pensiamo che Az vada trattata come altre compagnie nazionali”.
Il rapporto con i sindacati
E anche per quanto riguarda il fronte sindacale, Hogan non si risparmia, puntando il dito contro quelli che da più parti sono stati definiti come ‘privilegi’: “Avevo bisogno di tre anni di pace industriale per ricostruire l’azienda, ma ora sono passati appena 18 mesi e in una vertenza per qualcosa che vale come un caffè lanciano uno sciopero”.
La certezza del top manager però è quella di far crescere l’azienda: “Vogliamo ampliare la flotta, nel lungo raggio o anche nelle strutture della manutenzione”.