Il commento del direttore
Remo Vangelista
Fino a qualche anno fa era il business model più promettente del trasporto aereo. Il 2018, però, sarà ricordato come l’anno in cui il low cost ha iniziato a mostrare segni di affaticamento. Dopo aver conquistato quote di mercato, il sistema a basso costo ha dovuto fare i conti con la dura realtà del business, tra vettori in cerca di rilancio e operazioni non del tutto riuscite.
La voglia di lungo raggio
I collegamenti a lunga gittata ne sono un esempio. Il long haul in versione low cost sembrava dover essere la vera rivoluzione dei cieli. Ma i risultati non sono stati sempre quelli sperati. C’è chi, come Primera Air, ha portato i libri in tribunale proprio mentre progettava lo sbarco sul lungo raggio; poi c’è Norwegian, che ha dovuto rinunciare a una serie di rotte attraverso l’Oceano a causa dei problemi del motore Trent 1000, ovvero quello con cui avrebbero dovuto essere equipaggiati i B787 Dreamliner.
Altri vettori hanno dovuto fare i conti con i bilanci. È il caso di Wow Air, che dopo un periodo turbolento sotto il fronte finanziario ora starebbe cercando di tornare alle origini e tornare a essere una ultra low cost.
Carburante e scioperi
Ma anche Ryanair non ha attraversato un anno facile. Tra le cause, l’aumento del costo del carburante e il rafforzamento del potere contrattuale del personale: due questioni con le quali, in realtà, hanno avuto a che fare tutte le compagnie a basso costo.
È ancora presto per dire se il 2019 sarà più facile per il business low cost. Tutto dipende da tanti, troppi fattori. Primo fra tutti la grande incognita del costo del fuel, determinante del decretare l’andamento dei conti di ogni compagnia aerea.