Il commento del direttore
Remo Vangelista
Una congiuntura di mercato favorevole come non si vedeva da tempo: soffia un vento amico sul settore alberghiero italiano.
La Penisola si conferma in grado di attirare investitori nazionali e internazionali, grazie a una serie di fattori che fanno volare l'attrattività del nostro Paese. E dopo anni difficili rialzano la testa anche le nuove generazioni di imprenditori locali, figli e nipoti dei primi proprietari che aprirono gli hotel negli anni Cinquanta e Sessanta.
La conferma arriva dal convegno Hotels&Chains in Italy 2018, che nella sede dell'Università Bocconi di Milano ha tratteggiato la situazione del comparto.
Dopo anni difficili, annuncia Giorgio Palmucci, presidente di Aica Confindustria Alberghi, "nel 2017 gli investimenti alberghieri hanno segnato il record di 1,6 miliardi di volumi delle transazioni".
L'Italia, aggiunge Zoran Bacic, managing director di Horwath in Italia, "negli ultimi ha iniziato a reggere bene la concorrenza, marciando agli stessi ritmi della media mondiale".
Il ruolo delle catene
Aumenta la presenza delle catene alberghiere, che negli ultimi cinque anni sono aumentate di 20mila camere: questo benché siano ancora sottorappresentate in Italia rispetto al resto d'Europa (rappresentano il 4%) e nonostante la Penisola sia il paese con più camere, circa 33.600.
Nel 2020, dicono le previsioni di Horwath, in Italia ci saranno 250 brand di catene, 140 dei quali saranno nazionali.
Gestione e proprietà
Ancora poco diffusi, secondo il manager, i contratti di management, "anche perché regolamentati in modo poco chiaro rispetto ad altri Paesi".
Anche in Italia, però, inizia a diffondersi un modello di separazione tra proprietà e gestione "perché una catena che vuole essere sempre più presente deve separare i due ambiti".
Ne è un esempio la Cassa depositi e prestiti, che ha inserito nel proprio piano industriale il Fondo Turismo per fare acquisizioni, anche da privati, di beni immobili e favorire la separazione tra gestione e proprietà. O. D.