Il commento del direttore
Remo Vangelista
"Cosa c’è in un nome?" recitava una delle più note opere di William Shakespeare. Non è una novità che per un'azienda il nome, o marchio, sia fattore primo per il riconoscimento e il posizionamento sul mercato, ma quando si parla di startup questo diventa elemento fondamentale, se non vitale, per la sopravvivenza e il successo.
Una recente indagine di Skift.com mostra come e perché soprattutto le aziende innovative non debbano prendere sotto gamba la scelta del proprio nome, fattore determinante di longevità insieme alla ricerca di investimenti.
L'indagine
L’analisi della testata, infatti, ha preso in considerazione le startup del travel nate negli ultimi tre anni, ovvero nel periodo del boom del segmento, elaborando una vera e propria tabella delle realtà sopravvissute, ‘active’, e di quelle passate a miglior vita, ‘inactive’.
Immediatezza e riconducibilità
Si scopre che delle ‘active’ la maggior parte portano un nome che definisce chiaramente il core business della startup. Skift ne segnala alcuni esempi: Seatswapt permette di cambiare il posto del volo prenotato; ShareARoom di condividere una camera di hotel; RoomChecking è una piattaforma per albergatori che consente di monitorare, appunto, le camere.
Certo, si potrebbe obiettare che Uber o Airbnb, al momento le realtà innovative di maggior successo, non abbiano poi un nome immediatamente riconducibile alla loro attività principale, ma si tratta di realtà pioniere di un mercato prima di loro inesistente, che nel corso degli anni sono state capaci di rendersi attrattive agli occhi degli investitori. Ora, lo scenario è cambiato e in un mercato, quello delle startup, sempre più affollato il marchio è un punto di partenza imprescindibile, perché, suggerisce la testata, “un nome debole o fuorviante agli occhi del viaggiatore è il primo passo verso il fallimento”.