Il commento del direttore
Remo Vangelista
È la nuova sfida con cui convivono, oggi, le imprese del turismo, segnatamente gli hotel up e upper level. Aprire correndo rischi di sicurezza, immagine e magari perdendo del denaro, o attendere tempi migliori saltando la stagione?
Un dubbio che mette in gioco molte variabili e che chiede agli imprenditori uno sforzo di adattamento al contesto non sempre e non facilmente applicabile.
È un dato di fatto che il futuro prossimo del turismo di lusso privilegerà mete e offerte ‘a bassa densità’ turistica e tutto quello che si potrà offrire come ‘privato’.
“Tutto quello che sarà possibile fare in forma privata ed esclusiva sarà (come sempre) sinonimo di sicurezza, adesso intesa anche come sicurezza per la salute” dice Ori Kafri, titolare dei J. K. Place a Firenze, Roma, Capri e Parigi.
Ma al di là di questo, è difficile prevedere quali e quanti saranno concretamente i flussi di cui potranno disporre destinazioni e grandi hotel nella stagione 2020.
“Non sappiamo quale mobilità ci sarà sul territorio nazionale, né quali e quanti vincoli saranno applicati alle frontiere extra Schengen in entrata. Senza contare le eventuali quarantene imposte al ritorno” spiega Vito Cinque, proprietario de Il San Pietro di Positano.
Diventa allora complesso pensare alla sostenibilità del business: “La sfida principale nel breve termine per tutte le imprese turistiche è di adattare e ridimensionare il proprio modello di business al nuovo contesto di mercato” sottolinea Mario Ferraro, ceo di Smeralda Holding, dalla Costa Smeralda.
E questo porta delle implicazioni economiche e di tutela delle aziende del turismo upper level. “Non posso permettermi di rischiare – riassume bene Vito Cinque -. Non è tanto la sostenibilità del business a preoccuparmi, ma l’immagine dell’hotel. Una volta danneggiata per un calo nel livello di servizio o per, Dio non voglia, un caso di contagio, recuperare credibilità a livello mondiale è proibitivo. Devo tutelare il futuro delle mia azienda”.