Il commento del direttore
Remo Vangelista
Una delle attività che mi dà maggiori soddisfazioni è svolgere il ruolo di "Advisor & Councillor" per le start up turistiche. Come direbbero i britannici "is exciting" perché permette di aiutare ragazzi (alcuni davvero giovani altri meno) motivati e appassionati che investono tutto la loro energia ed il loro impegno per realizzare un sogno.
Hanno un'idea che reputano vincente e sono disposti ad affrontare duri sacrifici per portarla avanti. Tuttavia, spesso le loro idee, per quanto innovative e ingegnose (o forse proprio per questo!), una volta applicate e confrontate con la realtà e in particolare con il duro mondo del turismo, difficilmente superano la prova e raramente si trasformano in un potenziale business.
In Italia, oggi, le start up sono diventate un po’ di moda. Di fatto, si tratta di una realtà che sta davvero iniziando a prendere forma: dalle guide digitali alle app per la prenotazione via smartphone di aerei e alberghi, dalle piattaforme B2B per hotel ai sistemi di turismo “esperienziale” e via dicendo.
Il problema è che ci si scontra con un settore in crisi, che non riesce a partire, e quindi la maggioranza delle start up, soprattutto quelle tecnologiche, naufragano.
Secondo Startup Turismo, osservando i ricavi netti, lo scenario resta polarizzato tra una maggioranza di esperienze modeste e una piccola quota di outsider. E i numeri ce lo confermano: nel 2015, il 48 per cento delle imprese realizzate ha generato ricavi uguali o inferiori ai 10mila euro, il 27 per cento si è attestato tra i 10 e i50mila euro, il 4 per cento tra i 50 e i 100mila euro, il 15 per cento sui 100-200mila euro, un altro 4 per cdnto tra 200-500mila euro ed infine solo il 2 per cento sopra i 500mila euro.
Tra le start up che hanno prodotto un fatturato effettivo si contano Musement, Beestay (distribuzione B2B di pacchetti di soggiorno per hotel) e Wanderio (sistema di prenotazioni complete con un'unica app). I numeri dimostrano che non tutto è facile!
Se ci confrontiamo con altri Paesi in merito agli investimenti, la nostra situazione sicuramente non è molto rosea: ben il 35 per cento delle start up, infatti, non ha ricevuto più di 50mila euro.
Purtroppo molte di esse adottano business model sbagliati o non sufficientemente consistenti e quindi i loro business plan non sono credibili. Spesso, si tratta di progetti che funzionano solo a livello teorico ma che non sono business oriented. Come sappiamo, il turismo è un settore complesso, con marginalità ridotte e con costi alti di distribuzione. E questo certamente non lascia molto spazio alle invenzioni.
In generale le start up turistiche, al di là delle singole ingenuità, commettono tutte lo stesso errore, ossia quello di non rispondere alla domanda reale del mercato, pretendendo anzi che sia il mercato a doversi adeguare. Si perde la prospettiva andando dietro a micro nicchie, ma dimenticando che ad oggi il mercato turistico è fatto della somma di nicchie.
Molte start up sono progetti con architetture tecnologiche tanto innovative che difficilmente potranno poi essere effettivamente utilizzate dal potenziale turista. Se infatti è importante essere innovativi lo è altrettanto non esserlo troppo: essere 10 metri avanti è un bene, anzi è necessario ma 10 chilometri è eccessivo, inutile perché il mercato non si lascia sedurre da idee troppo estrose, oppure ci mette troppo tempo ad accettarle e ad assimilarle.
Ma il vero problema di molte startup italiane è che in generale sono solo delle piccole OTA, non un prodotto in sé. Manca il valore aggiunto, il valore differenziale e soprattutto manca un business model. Dal punto di vista della sostenibilità economica, fra app free, no commissioni, modelli premium, viaggi gratis, dormi in casa di host, iscrizioni o altro, la domanda che mi tocca fare a questi giovani è sempre la stessa: dov’è il business?
Ad oggi, le startup competono fra di loro, ma poche fanno effettivamente il salto di qualità. Il social travel è un’idea stupenda ma le start up che vi si dedicano sono tantissime (forse troppe?), soprattutto per un business che stenta a decollare. Il turismo è, purtroppo, un settore dove l’accettazione dell'innovazione è sempre minore rispetto ad altri settori, o almeno a un ritmo molto più lento.
Soprattutto perché si tratta di un mercato i cui clienti sono poco coerenti: cercano e scelgono online ma acquistano offline. Basti pensare alle agenzie di viaggi: sembra strano - e sicuramente si tratta di un fenomeno curioso - ma non solo ci sono ancora – quando tutti da tempo le davano per spacciate! – ma addirittura stanno recuperando terreno. E se è vero che il turismo è un settore che attira l'interesse degli investors, è anche vero che per farlo deve generare utili, e tempi di “way out” ragionevoli, cosa che purtroppo nella maggioranza delle start up non succede.
Il punto è che il turismo è un settore in cui se si applicano i criteri analitici ed economici, i rating e i valori generali, comuni ad altri ambiti, di norma si sbaglia, in quanto il mercato turistico ha le proprie peculiarità che non si possono ignorare.
Nel turismo perché una start up abbia successo e gli investors decidano di investire, la soluzione non è la tecnologia. Ciò che serve ai progetti sono due caratteristiche fondamentali: la prima che siano prodotti specifici, differenziali e di valore (basti pensare a AirBnB, Blablacar, Hotel ToNight, ecc); la seconda che abbiano un modello di business piuttosto classico, ossia focalizzato sul business, e che si posizionino all’interno della catena di valore del servizio o prodotto.
Sono consapevole che questo articolo potrà sollevare opinioni contrastanti. Ma voglio essere chiaro: anche se per età non sono un millenial, tuttavia non sono neppure l’uomo di Neanderthal! Questo significa che sono assolutamente a favore ed entusiasta delle start up e della tecnologia, ma proprio perché non sono più un ragazzino e voglio aiutare gli start upper, è necessario che io sia pragmatico, chiaro e spieghi loro come funziona il mercato turistico.
Faccio questa dichiarazione di principio per quelli startupper che mi chiederanno (e darò volentieri) dei consigli.. E per farlo esiste sempre e solo un modo: capire dov'è il business e soprattutto se c’è!