Quando la “messa a terra” prende il volo

Cartografo laureato in statistica all’Università di Chicago, il giovanissimo Sasha Trubetskoy fa quello che buona parte degli strateghi degli ambiti più vari molto predica e poco pratica: “mette a terra”. L’espressione, lo so, è ormai odiosa anche perché evocata – spessissimo senza alcuna effettiva conseguenza - nelle sedi più diverse. Però lui questa cosa la fa davvero, nel senso più stretto del termine. Costruisce mappe. E lo fa tramutando i contesti semantici più complessi in griglie capaci di restituire in un battito di ciglia l’ampiezza del mondo che vi è racchiuso. Il suo ispiratore è Harry Beck, disegnatore britannico che negli anni Trenta dello scorso secolo ha dato vita all’arcinota mappa della metropolitana londinese.

Seguendo lo stesso metodo, Trubetskoy ha condensato in pochi tratti e sorprendente limpidezza la fittissima rete di strade che gli antichi Romani tracciarono a nord e a sud del Mediterraneo. Ciò premesso, a chi si domandasse perché lo stia raccontando (considerato che non si tratta neppure di un progetto degli ultimi giorni), rispondo che i motivi sono cinque.

Il primo: l’ha fatto per passatempo, esattamente come Beck, che lavorava per la London Underground ma non come cartografo e che per puro piacere impiegò le ore libere nella realizzazione di un capolavoro della cartografia mondiale. Mi è sembrato giusto segnalarlo, comunque la si pensi.

Il secondo: promuove sul suo sito questa eccezionale abilità in maniera dimessa (I’m available as a freelancer if you need to make a map), il che oggi è tutt’altro che usuale.

Il terzo: non lo fa con improvvisazione (inconsueto anche questo) ma perché possiede competenze accademiche analitiche e statistiche necessarie per suddividere il mondo in categorie di oggetti ed entità mappabili. E può farlo per qualsiasi ambito e contesto.

Il quarto: perché osservando la sconfinata galassia di siti web per il turismo in cui si propone di tutto ammassando località, immagini e parole senza alcun ordine intuibile, si avverte la necessità di un intervento che restituisca all’utente l’idea immediata e chiara di quanto gli si desidera vendere: dove reperirlo, entro quale contesto, seguendo quale traiettoria e in base a quale aspettativa.

Il quinto, ultimo non per importanza: perché mappare un prodotto comporta lo sforzo di sedersi attorno a un tavolo e misurare quanto si è fatto. Un esercizio di coraggio, che obbliga a fare il punto degli obiettivi raggiunti ma soprattutto di quelli non raggiunti, perché alle mappe non si mente. Sono una forma d’arte che oscilla tra l’algoritmo e il quadro (*), ricorda Alessandro Baricco, noto appassionato del genere. Troppo scientifiche forse per inquadrare i molti progetti la cui “messa a terra” non rimarrà che un proposito destinato a involarsi anziché atterrare.

(*) “Il nuovo Barnum”, ed. Feltrinelli

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