Vendere detersivi e vendere viaggi sono due cose diverse: non foss’altro perché non c’è niente di più “fisico” del fustino di detersivo e di più “astratto”...
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
I bravi manager turistici ci sono, basta andarli a cercare. Una volta trovati, bisogna convincerli ad accettare una proposta di lavoro. E qui comincia il difficile.
Riparto da un’affermazione del Censis, che ho pubblicato l’anno scorso: “Non è il rifiuto del lavoro in sé, ma un declassamento del lavoro nella gerarchia dei valori personali”.
Primo, il lavoro non è più in cima alle priorità dei giovani, Millennials e Gen Z. Adesso il mantra è ‘Work Life Balance’: il bilanciamento ottimale tra gli impegni legati al lavoro e quelli connessi alla vita personale, ovvero famiglia, tempo libero e salute. Se l’azienda che assume basa la trattativa solo su soldi e carriera, il candidato se ne fa un’idea ‘utilitaristica’: “Ah, siccome mi paghi pretendi che lavori tanto? Quindi in cambio di soldi vuoi la mia vita? Devo rinunciare al tempo in famiglia? Devo sbattermi per il tuo fatturato e imbottirmi di sigarette (vabbè, quelle elettroniche...) e caffè? Non ci penso proprio!”. Le aziende turistiche hanno capito che Work Life Balance conta più dei soldi?! Credo di no.
Secondo, sono i manager a scegliere le aziende, non viceversa. Prima era diverso: quando la domanda di lavoro superava l’offerta, per ogni posizione c’erano dieci candidati e trovare quello giusto era facile. Oggi che i manager bravi sono meno delle aziende che li cercano, possono permettersi di essere ‘choosy’, cioè schizzinosi. Se la sede è scomoda da raggiungere, se il ruolo ricercato è indefinito (ormai sono tutti manager, anche quelli che stampano i documenti di viaggio), se al colloquio l’intervistatore fa l’antipatico: in questi casi, il candidato prende e se ne va da un’altra parte, O resta dov’è. Le aziende turistiche hanno capito che quando cercano posizioni come revenue manager, F&B manager e contract manager (oggi, in assoluto le più difficili da trovare sul mercato) devono “vendersi” bene ai candidati?! Credo di no.
Terzo e ultimo, i prescelti vanno accontentati, in ogni modo. Tale la fatica di trovarli, che alla fine qualche concessione in più va fatta. E non si tratta di soldi, ma di orario di lavoro flessibile, congedo parentale, welfare mirato, ferie concesse quando fa comodo al dipendente e non all’azienda. Di trasferte dove si può mettere in nota spese un pranzo in buon ristorante, per un nuovo cliente. O fare un viaggio di lavoro in aereo, anziché risparmiare e sobbarcarsi 700 km in auto, in due giorni. E infine - punctum dolens - lo smart working. Le aziende turistiche han capito che se non concedono almeno uno (meglio due) giorni di lavoro da casa, a chi ovviamente può farlo, dipendenti Millennials e Gen Z non li trovano più?! Credo di no.
Colloquio effettivamente avvenuto. Il sottoscritto alla candidata sales manager: “Allora, l’azienda ha scelto Lei: è contenta, vero?”. La candidata: “Mah, ho letto in una chat che uno dei capi ha fatto una scenata a una stagista che aveva fatto un errore...”. Il sottoscritto: “Ah sì, non lo sapevo...”. La candidata: “Sul sito affermano che non fanno discriminazioni, donne e uomini hanno la stesse possibilità di carriera: eppure io finora ho fatto tre colloqui, tutti con uomini”. Il sottoscritto: “Ha ragione, ma ci sono tante donne nel middle management...”. La candidata: “Ho dato un’occhiata al bilancio della società, l’anno scorso hanno chiuso in perdita. A me hanno detto che quest’anno fanno più 30%: difficile, non crede?”. Il sottoscritto non replica. Immaginate come sia andata a finire?