Vendere detersivi e vendere viaggi sono due cose diverse: non foss’altro perché non c’è niente di più “fisico” del fustino di detersivo e di più “astratto”...
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
Si chiamano Gen Z (si pronuncia “gen zed” in American English o “gen zi” in inglese globale) o Centennials o Zoomers o Zedders: sono nati dal 1997 al 2012, quindi nel 2024 hanno un’età compresa fra i 12 e i 27 anni. I Gen Z sono stati preceduti dai Millennials o Gen Y e seguiti dalla Generation Alpha; i loro genitori sono Generation X o primi Millennials; i loro nonni sono i Boomer. Visto che l’autore di questo pezzo è un (deprecato) Boomer, ricordo che l’espressione “OK boomer” è dispregiativamente rivolta dai ventenni a coloro che esprimono opinioni condiscendenti nei loro confronti (sul climate change, sulla sostenibilità, sulle questioni LGBTQ+ ecc.) e più in generale a chi non si muove a proprio agio tra internet, devices e social. Cioè, ai vecchi.
I Gen Z sono una cinquantina di milioni, in Europa; 7,6 milioni in Italia (ovvero il 13% di un Paese con sempre più anziani). Trattasi quindi di una generazione molto meno numerosa delle precedenti (i Boomer sono quasi 70 milioni), ma sempre più attraente per le aziende e per il mercato, visto che sono i consumatori (e i viaggiatori) del futuro.
Ecco tre cose che non sappiamo dei Gen Z e che ovviamente influenzano anche le loro scelte di viaggio e turismo:
1. Sono connessi 24/7 e contenti di esserlo - “Viviamo in un ambiente always on, siamo phygitalmente connessi. ll multitasking digitale è il nostro pane quotidiano e passiamo con estrema facilità da un device all’altro, su cinque dispositivi diversi: smartphone, desktop, lap top, tablet e TV - spiega Claudia Cassano, marketing hospitality specialist in Nicolaus Valtur, rigorosamente Gen Z -. Siamo nativi digitali e abituati a condividere i nostri dati, coscienti del fatto che gli algoritmi studiano il nostro comportamento e intervengono al momento giusto, adattandosi perfettamente ai nostri gusti, alle nostre esigenze, alle nostre aspettative. Lo fanno i social, come Instagram e TikTok; i motori di ricerca, come Google; gli assistenti personali o smart speaker, come Alexa o Siri. Certo, siamo consapevoli del fatto che i nostri dati abbiano un valore e siano sfruttati, anche commercialmente. Ma da tutto ciò scaturiscono nuovi modelli di education, nuove opportunità di carriera, nuove professionalità. Perché no, quindi?!”.
2. TikTok è il loro social, gli altri seguono - È sbagliato identificare i social con le generazioni, ma - per semplificare - io lo faccio lo stesso. TikTok sta ai Centennials, come Instagram sta ai Millennials, X ex Twitter sta ai Generation X (Elon Musk è di quella classe, non a caso) e Facebook sta ai Boomer. Questi ultimi pensano - erroneamente - che TikTok siano solo stupidi balletti, i Gen Z reputano FB - giustamente - roba da vecchi. Mi spiega Claudia: “TikTok non ha rivali, per i seguenti motivi: ottima UX (user experience) che per noi nativi digitali è la priorità assoluta; navigazione immersiva (full screen, volume sempre attivo, modalità di navigazione in swipe up); contenuti così vari che ce n’è per tutti, dalle lezioni di fisica di Vincenzo Schettini alla vendita di abiti usati di Vinted; fa esplodere l’estro creativo attraverso l’editing di video e contenuti dinamici, personalizzabili con testi, filtri, musica; ci connette con altri utenti con medesimi interessi, attraverso challenge, duetti, ecc. Un errore comune è quello di credere che l’utente di TikTok subisca passivamente i contenuti: non è vero, noi lo utilizziamo anche come motore di ricerca: per le vacanze, partiamo dalla query “itinerario + nome della destinazione” e quello che scegliamo alla fine nasce da lì”.
3. “Cringe”, “snitchare”, “crush”, “shippare”, “bro”, “amo”: la neo-lingua dei Gen Z - Termini incomprensibili a chi abbia più di 25 anni, sono inglesismi/neologismi ormai diffusissimi tra i Gen Z, che li usano quotidianamente: oltre un terzo (36%) lo fa molto spesso, circa un quarto (23%) addirittura sempre, secondo Skuola.net, “sito educational #1 dedicato agli studenti di scuola e università”, che spiega: “La Generazione Z si identifica nel proprio gergo a tal punto che, tra chi è avvezzo a mixare italiano e slang, circa due su tre ammettono di usare le “nuove parole” non solo quando si trovano con i propri coetanei, ma anche nelle situazioni più formali, ad esempio a scuola con i docenti, o al cospetto dei genitori. All’accusa di utilizzare troppi termini stranieri al posto di sinonimi italiani, la metà si difende dicendo che la “inglesizzazione” del linguaggio rende il proprio modo di parlare più universale e un terzo ritiene ormai superato il tempo delle distinzioni. Lo slang si impara da amici e coetanei, tra i social svetta TikTok, ma un ruolo fondamentale lo giocano influencer, youtuber, streamer, creator, VIP in generale dello sport, dello spettacolo o del gaming”.
Ecco le traduzioni:
“Cringe”: come aggettivo significa “imbarazzante”, ma in un’accezione particolare, visto che è “cringe” ciò che suscita imbarazzo e al tempo stesso disagio in chi lo osserva. Per un adolescente potrebbe essere “cringe” vedere il proprio genitore che balla in pubblico una canzone trap. O anche solo sentirgli usare la parola “cringe” fuori contesto. “Cringe” è esploso grazie alla condivisione di video, immagini e meme, soprattutto su Instagram e TikTok (fonte: Treccani on line).
“Snitchare” (dall’inglese “to snitch, fare la spia”) è usato quando si accusa qualcuno di aver “spifferato” all’autorità (magari un professore, un genitore, il capo al lavoro ecc.) cose che dovevano restare segrete.
“Shippare” è una crasi del sostantivo ’inglese “relationship”, interpretato però nel senso di “vedere bene assieme due persone”, “immaginare che possano avere una relazione”, “attribuire un partner”.
“Crush” ha un substrato violento (significa “schiacciare, stritolare, frantumare”) ma viene usato in connotazione molto più romantica, definendo chi ha la famosa “cotta” adolescenziale.
Infine, “Bro” (diminutivo di “brother, fratello” nello slang degli afro-americani, soprattutto rapper e trapper) indica “amico stretto” e “Amo” (contrazione di “amore”) non è necessariamente il fidanzato/a, ma utilizzato soprattutto dalle ragazze nelle conversazioni con le migliori amiche.
Basta così. Ora mi vado a comprare il Corriere della Sera in edicola e lo pago con le monetine. Più boomer di così si muore.