Vendere detersivi e vendere viaggi sono due cose diverse: non foss’altro perché non c’è niente di più “fisico” del fustino di detersivo e di più “astratto”...
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
Chi c’era s’è divertito, chi non c’era ha avuto torto. I numeri dell’appena conclusa edizione di TTG Travel Experience lo testimoniano. Ben gli sta ai profeti di sventura che - dopo la pandemia - avevano vaticinato la fine delle fiere di settore, l’obsolescenza degli incontri di persona, l’addio a strette di mano e sorrisi: Zoom, pugnetti e mascherine non mancano a nessuno.
Le fiere del turismo, soprattutto lato b2b, funzionano eccome, in Italia e all’estero. Ecco quattro parole-chiave grazie alle quali vale la pena andarci, a Rimini e non solo:
1. Relazione - Premesso che affari in fiera non se ne fanno più e che i contratti, quelli pesanti, si firmano altrove, il valore aggiunto è dato dalle relazioni. Perché non esiste altro luogo dove Leonardo Massa e Stefano Pompili, Giuseppe Pagliara ed Emiliana Limosani (a proposito, complimenti per il titolo di Star 2024) sono tutti lì, a due passi l’uno dall’altro, e due chiacchiere le scambiano con chiunque. Idem le loro prime e seconde linee, che finalmente hanno un volto e una voce, per gli agenti di viaggi. Siamo tutti ossessionati dal telefonino, distratti dai social, annoiati dalle call: ergo, non c’è nulla di meglio che uno scambio di saluti e una stretta di mano, per promuovere un villaggio, una destinazione, un Paese.
2. Informazione - In quale altro contesto girano così tante e così variegate informazioni?! Pur leggendo tutta la stampa di settore, i siti di viaggi, le newsletter ecc. sarebbe impossibile star dietro a tutto. Sei un consulente di viaggi e stai organizzando due gruppi, uno per l’Emilia Romagna e l’altro per la Slovenia? In un’ora o due, parlando con degli umani (e non con un chatbot o una segreteria...) puoi diventare esperto di quelle destinazioni, che neanche se ti mangi tutta Wikipedia.
3. Formazione - È il solito mantra, da sempre: formazione, formazione, formazione. Senza non si va da nessuna parte. Vabbè, anche se ho conosciuto agenti che i programmi di viaggi li fanno ancora a mano, li quotano a mente e poi li vendono a peso d’oro. Comunque, in fiera il programma di seminari e sessioni di lavoro è sempre imponente e - se riesci a svicolarti dall’abbraccio mortale dei saluti da corridoio - di cose nuove e interessanti se ne trovano sempre. Quest’anno, su qualunque palco, se non pronunciavi la parola magica “intelligenza artificiale” non ti si filava nessuno, ma passerà anche questa. Basta che non faccia la fine delle parole magiche del passato: blockchain e NFT, virtual reality e metaverso, big data e altri insulsi americanismi del genere.
4. L’aria che tira - Ohibò, non è una parola chiave, ma esprime il concetto. Andare in fiera serve a capire cosa sta succedendo veramente, cosa c’è dietro quel velo fatto di comunicati stampa, parole magiche (vedi sopra) e soprattutto di “Tutto va bene, madama la marchesa” (che espressione da boomer, mi dovrei dissare da solo...). Qualche esempio:
A. - Blogger, influencer, content creator sono passati di moda. Sarà (anche) per le nefaste conseguenze del pandoro Ferragni, ma quei profili che avevano imperversato per anni e almanaccato platee di preoccupati agenti di viaggi che il futuro sarebbe stato di influencer, ambassador e content creator, ecco, di questi se ne sono visti pochi. Hanno sicuramente il loro peso, soprattutto su Millennials e Gen Z, ma non hanno fatto (ancora) la rivoluzione.
B. - Destinazioni in seria difficoltà, oggi e domani. Premesso che i numeri in generale sono buoni (che la provvidenza continui a mandarci turisti americani a vagonate) non tutte le destinazioni corrono, anzi, qualcuna rallenta proprio: Israele e Libano in guerra, Giordania affossata, Oman, Qatar ed Emirati in difficoltà, Arabia Saudita ancora di nicchia e - soprattutto - Mar Rosso sotto del 30% rispetto a un anno fa. Fortuna che Danilo Curzi, come gli viene reso merito, dice le cose come stanno.