Trump, il presidente che non ama il turismo

Andando avanti di questo passo verrà ricordato (tra le altre cose, s’intenda) come il presidente americano che è riuscito a fare saltare i nervi a tutta l’industria turistica del Paese. Donald Trump in questa prima metà del mandato sembra essersi impegnato in maniera seria a mettere il bastone tra le ruote a tutta la filiera, mettendo in campo o semplicemente proponendo misure che di certo non incentivano gli spostamenti.

Tra i primi provvedimenti va infatti ricordato il tanto vituperato Travel ban, che ha colpito i viaggiatori di alcuni Paesi (Ciad, Iran, Libia, Somalia, Siria e Yemen) riformulato per tre volte e che a fine anno scorso ha ottenuto il via libera definitivo della Corte Suprema.

Molto impegno ha poi profuso per osteggiare il grande cambiamento avviato dal suo predecessore Barak Obama in merito ai viaggi su Cuba da parte degli americani. Reiterate minacce di stop e alla fine la pubblicazione di una lunga lista nera di alberghi che non potranno essere prenotati dai viaggiatori.

Portano sempre la sua firma le nuove regole sui collegamenti aerei verso gli States e che prevedono maggiori controlli già all’aeroporto di origine dei voli. Qui infatti le compagnie potranno effettuare le cosiddette interviste di sicurezza già in fase di check in (ma potrebbe avvenire anche al gate d’imbarco) e quindi prima della partenza dei passeggeri.

Ci sono poi le nuove disposizioni in merito al rilascio dei visti, che prevedono non solo la richiesta di informazioni sulla presenza sui social media ma anche la possibilità, da parte dei funzionari, di pretendere informazioni biografiche relative agli ultimi 15 anni, inclusi indirizzi di residenza, impieghi e viaggi effettuati.

Nell’elenco poi finiscono anche i rischi di taglio dei fondi a Brand Usa, l’aumento del prezzo per l’ingresso nei Parchi nazionali, il taglio dei fondi per Amtrak, la principale compagnia ferroviaria del Paese. Poi questa settimana è arrivata la notizia che nel pacchetto di provvedimenti per il budget da 4.400 miliardi di dollari c’è anche un forte aumento per le fee aeroportuali legate alle misure di sicurezza (ben tre).

Forse non è un caso che i flussi verso gli Stati Uniti si siano fermati dopo diversi anni di crescita a ritmi sostenuti e grandi ambizioni di scalare ulteriori posizioni nella classifica mondiale. Gli appelli da parte del settore a un’inversione di tendenza continuano. Ma continuano a essere inascoltati.

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