Il commento del direttore
Remo Vangelista
Sorge sulla Fifth Avenue, la strada più elegante e cosmopolita della Grande Mela, il Metropolitan Museum of Art, uno dei musei più gloriosi di New York.
Uno scrigno che custodisce oltre due milioni di opere d'arte di tutti i secoli, dall'antichità ai giorni nostri, nonché preziose testimonianze di civiltà asiatiche, oceaniche, africane, islamiche e bizantine.
Non deve essere facile fare il curatore di un grande museo: oggigiorno difficilmente bastano i proventi dei biglietti d'ingresso per coprire le spese amministrative, il personale, i sistemi d'allarme, gli allestimenti, l'assicurazione e tutti quei servizi che un museo moderno deve mettere a disposizione del pubblico.
Il Met, come lo chiamano i newyorkesi, ha sempre applicato una politica molto singolare al prezzario dei biglietti d'ingresso. Infatti quando si arriva al botteghino l'operatore chiede "Quanto vuole pagare?", perché nel 1870 la città di New York ha dato in concessione l'edificio senza canone d'affitto previo il libero accesso per il pubblico "molti giorni della settimana", lasciando alla discrezione dei curatori se chiedere o no un'offerta volontaria. Recentemente questa politica ha scatenato un putiferio, perché a due turisti della Repubblica Ceca non è andato giù il fatto che, sui cartelli che indicano il prezzo dei biglietti, la parola "recommended", cioè consigliato, risulti molto piccola rispetto al resto del testo.
E non hanno esitato a rivolgersi a uno studio legale citando in giudizio il museo "perché fa uso di una segnaletica ingannevole e altre tecniche" per frodare gli altri sei milioni di persone che lo visitano ogni anno, facendo loro credere che il prezzo d'ingresso sia obbligatorio.
I paladini del sistema prezzario del Met sostengono che, come per un teatro, un cinema, o un concerto, sia giusto che chi entri nel museo paghi il prezzo "consigliato" (che a luglio è passato da 20 a 25 dollari), mentre gli oppositori dicono che il pubblico non può essere obbligato a pagare ciò che già gli appartiene, visto che l'arte nei musei è il patrimonio di tutti. Una bella gatta da pelare.
Per il Met e per il sindaco Bloomberg.